venerdì 8 settembre 2023

Iperwriters - Campo di decentramento

Photo: Andreas Dittberner on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 29 - Campo di decentramento

Venerdì, ore 13.
1984. Pieno decentramento culturale, e pienone di artisti locali. Tutti a guardarmi dall'alto dei cieli in cui volano gli autori.
Non che io sia senza peccato. Ci sono cascata, e ho provato a fare l'autore. C'era una miriade di corsi per imparare a fare l'artista e ne ho frequentati diversi. Ho realizzato dei film in formato Super8, che allora richiedevano tecnica e fatica (li guardo oggi riversati in dvd e credo che sarei riuscita, come cineasta), ho messo in scena un paio di spettacoli teatrali (pochi lo sanno, ma i miei primi tentativi letterari erano rivolti verso il teatro).
Niente da fare. Quella che in una intervista ho chiamato polvere creativa sparsa vorticava incessantemenente, ma il risultato era l'immobilità. E gli artisti continuavano a volare sopra di me come eleganti aironi. Felici, loro, anzi giulivi. Io ero in preda a uno strisciante malessere.
C'era il Premio Tedeschi della Mondadori per un giallo italiano inedito. Max mi diceva tenta, tenta. Un nostro amico, immigrato dalle capanne degli schiavi dell'ex regno delle due Sicilie, era appassionato di fumetti, gialli e cinema (sarebbe diventato proiezionista) e anche lui mi diceva tenta, tenta. Insomma, l'idea mi stava entrando in testa.
Vedevo bene che le esperienze da artista locale venivano vanificate, e non potevo avere accesso al fumetto d'autore, mancandomi il talento per il disegno. Tornando alla prosa, alla scrittura, avrei volato come un airone, o almeno un'anatra.
Avevo aderito al censimento dei giovani artisti della mia città, ed ero apparsa in poche righe su un volumetto: copertina grigio marciapiede costellata di cicche. I giovani artisti erano mozziconi di sigaretta gettati via?
Poco tempo dopo l'apparizione di questo catalogo, un giornale locale esce con un articolo in cui vengono sbeffeggiati gli artisti come imbecilli velleitari e autoreferenziali. E scelgono ad esempio me, facendo il mio nome. E' troppo.
Ovviamente non rispondo, non invio lettere al vetriolo. Ma implodo per il furore. Perdio, impreco, basta. Preferisco scrivere i miei fumetti che vengono distribuiti e letti su tutto il territorio mazionale, che sfinirmi in attività inutili ed essere insultata al posto di altri. E vaffanculo agli artisti.
Urgeva un cambiamento, al più presto possibile. C'era il Premio Tedeschi, e Max mi diceva tenta, tenta, tenta.

mercoledì 30 agosto 2023

Festival Torre Crawford - 1, 2, 3 settembre 2023

Illustrazione di Roberta Guardascione

Torna il Festival Torre Crawford
San Nicola Arcella (Cosenza), 1-2-3 settembre 2023

Gli eventi
Per il quarto anno consecutivo, il Festival Torre Crawford organizzato da Torre Crawford APS porta a San Nicola Arcella (Cosenza) un fine-settimana di eventi letterari fuori dagli schemi, ispirato a Francis Marion Crawford, anticonformista romanziere americano nato in Italia, che tra XIX e XX secolo proprio qui scrisse molte sue opere, nella torre che ora porta il suo nome. Gli eventi, tutti a ingresso libero, si svolgono al Belvedere di San Nicola Arcella (sabato 2, ore 19.30) e presso il Caffè Le Mele (venerdì 1 ore 19,00, sabato 2 e domenica 3 ore 18.00, via Nazionale 48).
Sotto il programma completo.

"Uomo in mare!", illustrazione di Roberta Guardascione

Gli ospiti
Partecipa al Festival Pasquale Ruju, scrittore e sceneggiatore, che parla delle sue esperienze come autore di fumetti italiani di culto quali Tex e Dylan Dog, e del romanzo a più mani Youthless-Fiori di strada (Harper Collins). da lui scritto insieme a Massimo Carlotto e altri. Valentina Di Rienzo, rivelazione della narrativa noir, presenta il suo L’esigenza di uccidere (Morellini). E non manca Marco Marinoni, che fa tappa al Festival con il tour per il nuovo giallo L’origine del male (Mursia). Anche quest’anno gli eventi sono condotti dallo scrittore Andrea Carlo Cappi, noto per la sua carriera trentennale come autore di thriller, ma anche di storie di eroi dei fumetti come Martin Mystère e Diabolik.

"Torre Crawford", illustrazione di Roberta Guardascione

Il Premio e l’antologia
Sabato 2 settembre alle 19.30 al Belvedere di San Nicola Arcella (ingresso libero) avrà luogo la cerimonia del Premio Torre Crawford 2023, con la presentazione dell’antologia annuale: Uomo in mare! (edita da Torre Crawford APS) contenente l’omonimo romanzo breve di F. M. Crawford in una nuova traduzione del curatore A. C. Cappi; il racconto Il sogno dello squalo del maestro italiano dell’avventura Stefano Di Marino e le storie inedite selezionate al concorso letterario di quest’anno. Saranno assegnati il Premio Torre Crawford, così come il premio “E io lo dico a Pinketts!” e il premio “Il Prof”, in memoria rispettivamente degli scrittori Andrea G. Pinketts e Stefano Di Marino.

"Under Water", illustrazione di Roberta Guardascione

Il programma

Venerdì 1 settembre
-ore 19.00 Caffè Le Mele (v. Nazionale 48, San Nicola Arcella)
Presentazione del Festival Torre Crawford 2023
con Andrea Carlo Cappi e gli organizzatori

Sabato 2 settembre
ore 18.00, Caffè Le Mele (v. Nazionale 48, San Nicola Arcella)
-Pasquale Ruju presenta il romanzo Youthless-Fiori di strada (Harper Collins) di Carlotto-Rinaldi-Acciai-Ruju-Torre
-Valentina di Rienzo presenta il suo romanzo L’esigenza di uccidere (Morellini)
ore 19.30, Belvedere di San Nicola Arcella
-Cerimonia del Premio Torre Crawford, con i vincitori; partecipano Valentina Di Rienzo, Marco Marinoni, Pasquale Ruju. Presentazione dell'antologia Uomo in mare! a cura di A. C. Cappi (Torre Crawford APS)

Domenica 3 settembre
ore 18.00, Caffè Le Mele (v. Nazionale 48, San Nicola Arcella)
-Marco Marinoni presenta il suo romanzo L’origine del male (Mursia)
-Miti del fumetto italiano: incontro con Pasquale Ruju e Andrea Carlo Cappi
ore 21.00 Belvedere di San Nicola Arcella
-Tributo a Pino Daniele con Vai Mo' Band

Illustrazione di Roberta Guardascione


venerdì 25 agosto 2023

Iperwriters - Stress professionale

Photo: Venti Views on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 28 - Stress professionale

Venerdì, ore 13.
Sono, come dicevo, nel ghetto dei fumettisti, circondata da meravigliosi artisti tanto al di sopra di me. Da non crederci, vero? Oggi che il fumetto popolare boccheggia come un pesce nella plastica, oggi che esiste solo il fumetto d'arte di nicchia o d'élite, pare che stia parlando del Giurassico. Eppure.
Ero un'artigiacana, un falegname di parole e immagini.
Non mi ha consolata, in seguito, vedere quelle stesse persone che avevano preso un albo a fumetti con due dita e subito lo avevano posato, per manifestare in quanto poco conto lo tenessero, convertirsi al culto di questa o quella testata di comics. Né veder arrivare seconde e terze ondate di sceneggiatori, perché erano sempre più sottopagati e di conseguenza sarebbero stati ridotti anche i miei guadagni. Né vedere sorgere scuole su scuole di fumetto mentre l'editoria, la sola che poteva garantire compensi dignitosi, si restringeva come un calzino in modo inversamente proporzionale.
Come creare spazio per gli acculturati di massa? Rendendoli dilettanti, cioè artisti. Ora, gli artisti hanno il tormento e l'estasi. Gli artigiani, che sono professionisti, hanno soltanto lo stress. Scrivere per vivere è un lavoro logorante. Cominciavo a sperimentare crisi di saturazione, e uno dei miei metodi per superarle era cambiare. Una nuova proposta, una nuova collaborazione mi ricaricavano.
Gli artisti (e anche tutti gli altri) mi chiedevano: Come fai a fare tante cose diverse? Come fai a passare da Topolino a Oltretomba e Terror (testate horror della Ediperiodici per cui stavo cominciando a scrivere)? Non sapevano spiegarselo, e quello che non si spiega non esiste. Io cercavo di spiegarlo dicendo: "È il mio lavoro."
Ma questa pluralità immaginaria, questa capacità di suonare diversi strumenti, la comprende solo chi, come me, è pourri (per usare un'espressione francese), marcio di fiction.
Credevo che essere poliedrici fosse un merito da ricercare e utilizzare. Mi sbagliavo. Era richiesta un'unica storia, un'unica voce, un unico stile. Specializzarsi in un unico genere e in un unico modo di scriverlo, badando bene a ricercare una routine (ma fingendo originalità), evitando quelle variazioni che rendono sopportabile una narrativa già omologata fino alla nausea.
Niente poliedri, troppa fatica leggerli. Una lastra piatta cancellabile.

venerdì 11 agosto 2023

Iperwriters - Artisti e artigiacani

Photo: Anil Reddy on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 27 - Artisti e artigiacani

Venerdì, ore 13. Come ho detto sceneggiavo di tutto, o quasi. Ma qual era la mia posizione sociale, o come socializzavo il mio lavoro, che poi è la stessa cosa? La risposta è semplice e prevedibile per chi mi conosce bene: non avevo nessuna posizione.
Intendo che restavo unica e gli altri mi giravano intorno senza partecipare della mia dimensione. Frequentavo un ambiente di radical chic che mi sottovalutavano e mi trattavano con sufficienza, falsa cortesia, curiosità maliziosa, e sempre come un'eccentrica, a volte irritante e a volte divertente. Alcuni avrebbero voluto cimentarsi nella sceneggiatura, ma solo per un periodo limitato di tempo. Nessuno, nessuno, nessuno di loro avrebbe mai svolto questo lavoro in via prioritaria e definitiva. Avevano altro a cui mirare. Master all'estero, giornali a cui accedevano con sconcertante facilità, carriere universitarie che parevano preparate da sempre. I meno ricchi di famiglia aspiravano comunque a uno stipendio sicuro e regolare.
Nella prima parte degli anni '80 il fumetto era veramente un ghetto. Potete valutare voi stessi da questa scena: sono su un autobus, con un disegnatore che lavora per il mio stesso studio, e parlando delle motivazioni che lo hanno portato lì dice: "Lo faccio per non andare in fabbrica". Queste parole mi si sono stampate in mente, perché anch'io lo facevo per non andare dove volevano gli altri.
Ma certo! Da che mondo è mondo ci si riscatta dalle caste subalterne solo con l'arte della boxe, o con l'arte e basta. Ma non era arte, quella che facevamo noi fumettari. Il mondo non era più quello che doveva essere da che mondo è mondo.
Nella mia città, in Italia, in Europa, in Occidente tutti stanno diventando artisti. Tutti scrivono, dipingono, fanno teatro, cinema, poesia, danza, recitazione e tutto quello che le povere Muse (mai così tanto al servizio di così tanti) possono ispirare. E tutti questi artisti, aerei e rarefatti, sono in alto, tanto tanto più in alto di me.
Io sono un'artigiana, anzi un'artigiacana.
Avevo creduto che il fumetto fosse narrazione, e la narrazione fosse propedeutica ad altre forme di espressione artistica. Mi sbagliavo.
Tutti quegli artisti erano “sperimentali” e snaturavano cinema e poesia, frantumavano il teatro, vaporizzavano la letteratura.
Distruggevano la narrazione.


giovedì 27 luglio 2023

Iperwriters - Libero porno in libero stato

Photo: Nazarizal Mohammad on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori


Letteratura italiacana - 26 - Libero porno in libero stato

Venerdì, ore 13.
In agenzia mi chiedono se “ho problemi di carattere morale a sceneggiare fumetti porno”. Alzo le spalle, sorrido e rispondo di no. Già mi giudicavano (come tutti del resto) enigmatica, ma ora divento un mistero vivente.
È doverosa una spiegazione. Togliendo la Caritas, la raccolta fondi per le malattie rare, gli enti benefici e l'obbedienza del buon cittadino (soprattutto nel pagare le tasse), a quale chiodo si possono attacare principi morali nel mondo contemporaneo? E la pornografia, caramellata e ammiccante, non viene forse largamente diffusa dagli attuali mezzi di comunicazione?
Ma non si trattava solo di dare cinicamente alla gente quello che la gente vuole.
Nel mio quartieraccio ero stata mitragliata e bombardata di pornografia fin dalla più tenera età. Barzellette sconce su omosessuali e ragazze incinte, allusioni bavose, smorfie, battute e occhiate. Ogni minimo discorso che uscisse di bocca veniva sessualizzato. Ogni parola innocente che ti usciva di bocca veniva parafrasata in sesso. A nove anni sono stata informata che “se tuo marito non lo mette nella tua cosa te lo mette in bocca”. Non da un maschiaccio sogghignante, ma da una bambina della mia età.
Allora, rendiamo questa pornografia sincera, portandola a galla dal groviglio di bisce nel fango in cui tutti si sta affogando.
Ma, ancora, c'è di più. Una rivalsa, una inevitabile reazione alla diseducazione ricevuta. Una specie di divertimento intellettuale vendicativo nell'idea di vendere la stessa merce (alquanto modificata e, direi, perfino nobilitata) a quelle stesse persone che me l'avevano tirata addosso gratis. Stavo facendo quello che si chiama cavalcare la tigre, anche se non conoscevo ancora l'espressione, né il suo significato.
Allora non sapevo, non potevo spiegare tutto questo: in agenzia non avrebbero capito. Chiedendomi se avevo problemi morali, intendevano verificare se fossi cattolica praticante.
Erano tutti stupefatti, scandalizzati e quasi ammirati dal talento con cui sceneggiavo porno. Era un lavoro facile. Vorrei che i VHS prima e la digitalizzazione poi non avessero mai ammazzato quella meravigliosa fonte di guadagno.
Lavoravo tre ore senza ammazzarmi di fatica, poi con Max una passeggiata in una sera d'estate, pizza e cinema.
Erano giorni felici.


venerdì 14 luglio 2023

Iperwriters - Cannibalismo

Photo: Andreas Dittberner on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 25 - Cannibalismo

Venerdì, ore 13. Un piccolo aneddoto per animare la navigazione.
L'agenzia mi affre l'opportunità di una collaborazione con la testata Topolino, allora gestita da Mondadori. Sono felice, ma anche in preda all'ansia da prestazione. Insomma, devo giocarmela bene.
E il soggetto viene approvato: L'avaraccio di Paperin di Paperinière. Avevo scelto una parodia di Molière, e l'avaro era ovviamente Zio Paperone. Procedo alla sceneggiatura. Viene approvata e pagata, ma con una serie di note critiche, fra le quali mi si rimprovera il cannibalismo di Paperino.
Sono costernata. Che cosa ho fatto? In una vignetta Paperino è a tavola con i nipotini e mangia un pollo. Un papero non può mangiare un altro animale da cortile bipede.
Ora, io ero cresciuta con il Topolino degli anni '60, e avevo amato immensamente le storie di Romano Scarpa e di altri autori italiani, che erano film d'avventura hollywoodiani arricchiti da invenzioni sfolgoranti e parodie di classici che ne restituivano lo spirito trasformato in divertimento puro. Conoscevo le censure per sceneggiatori Disney: niente politica, sesso, morte, malattie. Ma nelle vecchie storie certi argomenti venivano sfiorati. In Topolino e la collana Chirikawa il nostro eroe viene rapito in culla, rimuove il trauma e da grande soffre di vertigini. Inquietantissima la scena del rapimento. In Topolino e l'imperatore della luce partono alla ricerca di uno zio di Pippo scomparso in Africa e lo ritrovano pazzo. In Paperino e il Misterioso mister Moster Paperino viene clonato da uno scienziato pazzo e Archimede uccide il clone con un'iniezione letale.
Giurerei di aver visto paperi a pranzo con cosce di pollo in mano, ma non saprei dire in quale storia, in quale pubblicazione, in quale anno. Non mi era sembrato di peccare ripetendo quello che avevano fatto sceneggiatori migliori di me. In seguito, negli anni '90, collaborando con la Disney Italia, ho avuto problemi solo quando mi ispiravo ai grandi sceneggiatori del passato, nelle idee e nel linguaggio, troppo crudi per le nuove morbidezze richieste dal mercato per bambini.
Insomma, il primo contatto con una testata mitica con cui ero cresciuta è stato decisamente traumatico.
Ma avevo soltanto cannibalizzato me stessa, il serbatoio di immaginario disneyano della mia infanzia.



mercoledì 5 luglio 2023

La solitudine del Minotauro - Francesco G. Lugli


Recensione di Andrea Carlo Cappi

A Milano, nella prima metà degli anni Dieci del XXI secolo, all'incirca due volte l'anno - e sempre in corrispondenza dei principali eventi legati alla moda - vengono commessi misteriosi delitti che lasciano vittime spaventosamente mutilate. "Serial killer", diranno a questo punto lettrici e lettori (e uno dei personaggi) che ormai credono di averle già viste tutte. No, qualcosa di ben più complesso e, se vogliamo, non insolito nella narrativa thriller, ma forse mai trattato con pari efficacia. In ogni caso, quando si offre a qualcuno la possibilità di uccidere impunito, finisce che costui (o costei) ci prova gusto e si lascia prendere appena un po' la mano.
Sicché la Questura deve organizzare una squadra per dare la caccia ai cosiddetti "Cannibali", che non sono realmente tali, né membri di un noto movimento letterario di un paio di decenni fa. Ma scordatevi anche i commissari paciosi che spesso appesantiscono di colesterolo e trigliceridi la narrativa italiana di genere. Pensate a una versione molto più realistica e contemporanea degli sbirri del poliziottesco. E immaginate che, di fronte a una struttura criminale pericolosamente organizzata, nemmeno gli agenti - uomini e donne - possano sentirsi al sicuro. Anzi, rischino di diventare loro stessi i primi della lista, i bersagli più appetibili.


Ci sono due validi motivi perché io recensisca questo libro: primo, perché è un thriller assolutamente notevole e, secondo, perché l'autore non è solo un amico, ma uno scrittore che seguo da una dozzina d'anni con estremo interesse, tanto da averlo coinvolto in tre mie antologie dedicate al noir milanese: Un giorno a Milano e Una notte a Milano (edite nella stessa collana, "Calibro 9", sotto un altro marchio dello stesso editore) e Menegang (Borderfiction Edizioni). Questo romanzo riprende proprio i fili delle storie pubblicate nelle prime due, che infatti all'epoca Francesco G. Lugli mi aveva assicurato essere solo i prodromi di una vicenda più estesa.
Ebbene, di solito di un thriller italiano particolarmente riuscito si dice che "non ha nulla da invidiare a quelli americani". In questo caso potremmo dire che parecchi thriller d'oltreoceano hanno molto da invidiare a La solitudine del Minotauro. Se questa storia - peraltro sotto molti aspetti tipicamente milanese - non fosse stata ambientata in Italia bensì in una metropoli degli USA, l'editor avrebbe costretto l'autore ad aggiungervi duecento pagine di lungaggini inutili e violenza gratuita (mentre qui si trova solo quella necessaria) temperata da buonismi superflui e sterotipi consunti.


Ne La solitudine del Minotauro invece non c'è né tempo né spazio per i déjà vu. Quando se ne avvicina uno, è lo stesso protagonista e capo della squadra - Remo Giorgi detto "il Minotauro" - ad allontanarlo a calci. Proprio per questo Lugli si può permettere anche di sfruttare, in modo originale, espedienti cinematografici come qualche situazione classica dello psychothriller (completamente ribaltata) o il freeze frame con la "scheda" di un personaggio (di scuola tarantiniana). Il tutto con quel gusto tipicamente europeo, ma poco diffuso in Italia, di imparare i trucchi dei maestri americani, farli propri e riutilizzarli in una trama scevra da certe ingenuità hollywoodiane. Per chi poi ha frequentato gli stessi bar, c'è anche la nostalgia di ritrovare sotto forma di personaggi un paio di amici che non sono più tra noi.
Quindi un thriller che ci riporta al vero noir milanese della mediaticamente dimenticata ma mai davvero sopita Scuola dei Duri di Andrea G. Pinketts, con un autore che riconferma le sue capacità dopo il pregevolissimo noir Il risveglio della notte di qualche anno fa (sempre nella collana "Calibro 9"), senza dimenticare il surreale Il Codice Beatles scritto con Ferruccio Gattuso e riapparso recentemente da Excalibur o la graphic novel Sindrome 75 concepita con Gian Luca Margheriti (anch'essa edita da Excalibur).


Prima presentazione a Milano: Admiral Hotel, v. Domodossola 16, mercoledì 5 luglio ore 19.15 (Borderfiction Eventi, ingresso libero).





Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...