venerdì 23 settembre 2022

Iperwriters - Nati alternativi

Photo: Nishan Jain on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 6 - Nati alternativi

Venerdì, ore 13. Sono fuori corso, a navigare nell'oceano Alternativo.
Ero, come Max e poche altre persone, alternativa a tutto. Non avrei voluto esserlo: per temperamento sono una conservatrice. Ma la mia condizione mi poneva nell'alternatività. Non c'era posto per noi.
Quando, molti anni dopo, ho deciso di recuperare gli esami già dati (non butto mai via niente che possa ancora servire) e laurearmi, sono stata più che alternativa.
Santa Caterina da Siena è il personaggio più alternativo della storia d'Italia: non piace a nessuno. E' patrona d'Italia ma gli italiani la odiano. Odiano la chiesa cattolica, odiano le donne (soprattutto quelle di talento) e provano una santa ripugnanza per una che raccoglie fra le mani la testa di un decapitato. Un'anoressica psicopatica sessualmente frustrata.
Ma si dà il caso che Caterina Benincasa sia anche una grande scrittrice italiana. Se lo stile fosse stato davvero prioritario nella nostra editoria (come proclamavano allora), avrebbero dovuto ristampare e vendere lei al posto dei capolavoristi costruiti e spammati sul mercato.
Ho sempre amato i più odiati: è un mio tratto distintivo. Come la fascinazione per le donne autorevoli.
Per circa tre anni abbiamo vissuto nella biblioteca comunale, leggendo, scrivendo e traducendo. Perdendo gli anni che non abbiamo mai perso dalle elementari alla maturità, quando essere bocciati pareva una tragedia.
Ma che fare da grandi?
Ancora negli ultimi tempi della sua vita Max mi diceva che gli sarebbe piaciuto essere un insegnante. Alla fine dell'Ottocento, o al più tardi quando lo era Pirandello.
Avete letto (o vi hanno letto) Cuore di De Amicis? Ricordate la scena in cui il padre del muratorino entra nella casa signorile del maestro di suo figlio, umile e rispettoso, timoroso di sporcare di calce le poltrone?
Bene, ho visto con le mie fosche pupille una maestra strisciare (trattata da pezzente) davanti al tipo che le ristrutturava la casa (in abiti firmati).
Saremmo stati insegnanti con felicità nostra e dei nostri allievi, anche da schiavi sottopagati, se solo avessimo potuto conservare rispetto e dignità.
Max ha lasciato l'Università al primo anno e non si è mai laureato.

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venerdì 9 settembre 2022

Iperwriters - Nati fuori corso

Photo: Ian Taylor on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 5 - Nati fuori corso

Venerdì, ore tredici. Ora sto navigando al primo anno di Università.
Non sapevo che la Facoltà di Lettere fosse l'ascensore per l'inferno. Come potevo saperlo, a meno di vent'anni?
Avevo letto di Oxford e Cambridge e della Sorbonne (per restare in Europa), e mi ritrovo insieme a centinaia di persone in un'aula di Letteratura Italiana che pare una sommossa popolare.
A dare esami insieme ad altri sei o sette per passare senza aver studiato perché parlano gli altri. A dare esami avendo letto solo le quarte di copertina dei libri, perché basta dire due cazzate. A frequentare insulsi e odiosi corsi monografici utili a tutti tranne che a me.
La carriera? L'insegnamento, naturalmente. Che mi incuteva un sacro terrore.
Perché avevo visto i miei insegnanti alle medie superiori, brava gente che si sforzava onestamente di rendere stimolante quello che lo era già. Li avevo visti ridicolizzati, sghignazzati, sputtanati in disegni e scritti osceni. Ne ricordo uno, che veniva letto collettivamente, in latino maccheronico: Eius pater volebat masculum, eius mater volebat feminam, postea naquit id, et fuerunt entrambi contenti.
La sventurata qui descritta era la prof di matematica. L'hanno bombardata con cancellini sporchi e calzini da ginnastica puzzolenti. Lei con l'abito nero coperto di macchie di gesso spiraliformi e un calzino penzolante da una spalla. La scena pareva quella di Carrie quando le lanciano addosso gli assorbenti nella doccia: sconvolgente.
La sola idea di entrare in una classe di liceo mi gettava nel panico. Mi vedevo coperta di calzini, o peggio, di stronzi.
Max, il mio futuro marito (che avevo appena conosciuto), era convinto che avrei dovuto insegnare all'Università. In seguito un amico accademico mi avrebbe confessato che per avere una cattedra vicino a casa sarebbero dovute morire otto persone, come nella monarchia inglese.
Per i posti da ricercatore c'erano liste d'attese lunghe quanto cortei di protesta. Decine, forse centinaia di persone più belle, preparate, brillanti, popolari di noi.
Anche noi, in potenza, lo eravamo, ma crescere senza scopo negli alloggi degli schiavi sfigura la bellezza, avvilisce la cultura, spegne lo scintillio, schiaccia talmente tanto nel popolo da rendere impossibile la popolarità.

venerdì 26 agosto 2022

Iperwriters - Pensiero orizzontale

Photo: Thais Morais on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 4 - Pensiero orizzontale

Venerdì, ore 13.
Mi sto avvicinando agli esami di maturità, e da un anno a scuola non lavoro più. Mi devono perfino prestare i libri in classe. Colpa del mio carattere troppo diritto e intransigente: se lo studio non serve a ottenere l'amore dei coevi, perché affaticarsi?
Mantengo comunque la mia fama di secchiona. Vedo persone che disprezzano i secchioni alzarsi alle sei del mattino per ripassare, ma la secchiona sono sempre io: la secchioneria è naturale, non acquisita.
Con gli insegnanti spendo un credito di stima pregressa. Credo che alcuni di loro mi vogliano bene, perché ho amato (e amo ancora) quello che insegnano. Forse sono la fune a cui aggrapparsi per non sprofondare, l'antidepressivo per non piombare nella derealizzazione totale. Almeno con me hanno la sensazione di stare insegnando.
Sono accusati di non saper rendere la materia stimolante.
Ora, alcune opere della Letteratura Italiana sono stimolanti, trip allucinatori fra i più potenti al mondo. Immaginate di essere dei pusher e di dover vendere della roba che fa viaggiare fra le galassie, e la vostra utenza vi dice: "Non la rendi stimolante, dacci prima una tazza di caffè".
Il nuovo insegnante di filosofia tiene lezioni che mi drogano e mi lasciano incantata per ore. Fa questo effetto soltanto a me; per gli altri non è stimolante.
Gli faccio leggere qualcosa di mio, una piccola satira della classe in forma di commedia.
Mi prende da parte dopo la lezione e fa un disegno alla lavagna. Un angolo retto. Sulla linea verticale diverse brevi stanghette la intersecano, equidistanti. Altrettante sulla linea orizzontale.
“Le società antiche erano verticali” dice. “Le persone stavano le une sopra le altre. Le società moderne sono orizzontali. Le persone stanno le une accanto alle altre. Tutte uguali. Tutte alla stezza altezza”.
Guardo quelle linee uguali nella forma, quelle che salgono e quelle che (mi sembra) restano ferme e stagnanti, tutte ridotte alla stessa altezza dall'orizzontalità.
Solo ora comprendo il significato di questa dimostrazione: allora non potevo: volevo salire, anzi volare.
Quello che tuttora non so è l'intenzione del mio professore. Voleva ammaestrarmi e correggermi o avvertirmi e prepararmi?

giovedì 4 agosto 2022

Iperwriters - Pensiero gioioso

Photo: Maksym Kaharlytsky on Unsplash


Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 3 - Pensierio gioioso

Venerdì, ore 13.
Ho sedici anni, e sto navigando alle medie superiori. Pessima navigazione: passare dalla periferiaccia al semicentro non è stato un guadagno. Niente più Rossana, e nessun ascensore sociale. Per temperamento, o forse per aver ereditato i geni recessivi dei miei avi possidenti terrieri, mi sono sempre trovata meglio con quelli nati nelle capanne degli schiavi che con quelli della classe media. Sono un'aristocratica.
Comunque, la mia scuola era una criptomonarchia retta da due contestatori sessantottini e da Gioia. Gioia non è una persona con una identità anagrafica (anche il nome è inventato), ma una creazione letteraria composta da più entità e da più incontri: non per questo meno reale.
Gioia è una ripetente alta, furba e belloccia. Sta con un tipo che tenta di fare il cantautore (ha scritto una canzone per lei) e ha già fatto sesso (con l'attuale fidanzato e con un ex), cosa che le conferisce un prestigio immenso. Ha lunghi capelli neri ma a volte una parrucca bionda, e porta una giacca di renna con frange, il massimo del trendy, allora.
Non si comprende (e neppure lei comprende) perché abbia continuato dopo la scuola dell'obbligo. Non fa assolutamente nulla, neppure ginnastica. Per lei Dante era una femminuccia svenevole che avrebbe dovuto scoparsi Beatrice, altro che angelicarla. Socrate e Platone sono due palline che fa rimbalzare nel divertimento generale. Op, Socrate. Op, Platone.
Gioia spesso mi bullizza, per esempio fingendo di accarezzarmi i capelli dopo aver ben unto le mani con la focaccia alla cipolla. Oppure mi provoca: “Chi credi di essere? Ti senti superiore a tutte noi.”
Superiore? Con i primi soldi mi sarei comprata una giacca di renna come la sua (senza frange però).
La studio senza sosta per carpire i segreti della sua popolarità. Riesco a ottenere soltanto la sua pietà. Quando passo un momento nero cerca di consolarmi: “Non dire che non hai nessun avvenire. Intanto, sai scrivere molto bene”.
“E a che mi servirà...?”
Non so dire altro in quel momento, ma oggi aggiungerei:
“... se il mondo sarà governato da persone come te?”

domenica 31 luglio 2022

Marilyn e Diana: due morti "accidentali"

Marilyn e i Kennedy, dipinto di Carlo Jacono (1998)


Ultimo appuntamento della stagione e doppio mistero, sul filo di due anniversari che ricorrono nelle prossime settimane. Il primo è quello della scomparsa di un mito di Hollywood: la trentaseienne Marilyn Monroe il 5 agosto 1962. Sessant'anni fa l'attrice fu trovata morta nella sua casa di Brentwood, Los Angeles, uccisa da un'overdose di sonnifero.
L'autopsia decretò un "probabile suicidio", anche se un'inchiesta successiva ammise una possibile overdose accidentale. Si sa che Marilyn - vittima di gravi traumi nell'infanzia - era in cura presso uno psichiatra, il dottor Ralph Greenson, che le prescriveva farmaci in quantità industriale. Aveva persino una domestica-infermiera, la signora Eunice Murray, che aveva il compito di somministrarle i medicinali, ma a volte Marilyn li prendeva anche per suo conto. Non è da escludere che si sia trattato di un tragico errore.
Senonché Marilyn era suo malgrado al centro di diversi intrighi, che hanno dato origine a mille ipotesi di complotto. Si sa che era sotto la sorveglianza dell'FBI, perché frequentava vari intellettuali (incluso il drammaturgo Arthur Miller, suo ex-marito), fra cui si sospettava ci fossero spie sovietiche. Era stata amante del presidente John Kennedy, che in quel momento era in pessimi rapporti con la CIA. Poi era stata amante del fratello Robert Kennedy, ministro della Giustizia, impegnato nella lotta al crimine organizzato. Però era stata anche amante di Frank Sinatra, di cui sono note le amicizie mafiose. Marilyn potrebbe essere stata vittima di una vendetta trasversale nei confronti dei Kennedy, che sarebbero stati entrambi assassinati negli anni successivi.
Ma anche a non voler essere complottisti, c'è una coincidenza sospetta: l'ultimo fidanzato di Marilyn, il regista messicano José Bolaños, era amico di Howard Hunt, l'agente della CIA di cui abbiamo parlato a proposito del caso Watergate; Hunt è sospettato anche di essere coinvolto nella morte del presidente Kennedy. A questo punto c'è da chiedersi se la morte di Marilyn Monroe sia stata davvero un suicidio o un'overdose accidentale.


Il secondo anniversario di cui parliamo oggi è tra un mese: venticinque anni dalla morte di Lady Diana Spencer, del suo fidanzato e del loro autista, il 31 agosto 1997 in un incidente a Parigi. Anche lei è scomparsa a soli trentasei anni, anche lei è al centro di ipotesi di complotto.
Dopo il divorzio dal principe Carlo era diventata un'importante figura mediatica, superando in popolarità la famiglia reale britannica. Aveva dato inizio a una campagna internazionale contro le mine antiuomo e sostenuto il Partito Laburista, che doveva in parte a lei la vittoria alle elezioni. Si era fidanzata con il produttore cinematografico Dodi al Fayed, figlio dell'egiziano Mohammed al Fayed - proprietario dei grandi magazzini Harrods a Londra dell'Hotel Ritz a Parigi - e nipote del celebre finanziere saudita Adnan Kashoggi. E oltretutto l'ex-marito, allora come oggi erede al trono d'Inghilterra, non poteva risposarsi con la fidanzata Camilla finché Lady Diana era viva. Sotto molti aspetti era una donna scomoda e in certi ambienti già a metà agosto correva la voce che sarebbe successo qualcosa entro la fine dell'estate.
E infatti "qualcosa" è successo il 31 agosto, anche se all'epoca non si poteva parlare di "complotto". I media accusavano prima i paparazzi che correvano dietro a Lady Diana - ma che lei aveva imparato a gestire benissimo - e poi l'autista Henri Paul che non era affatto ubriaco come si sosteneva all'epoca, come avrebbero dimostrato le riprese dalle videocamere di sicurezza del Ritz di Parigi. Io invece scoprii uno dei possibili metodi per sabotare l'automobile e causare l'incidente, e ci si scrissi sopra un romanzo intitolato "Ladykill-Alla ricerca della verità sulla morte di Lady D", che si trova su Amazon nella nuova edizione di Oakmond Publishing dello scorso anno. Dopo venticinque anni è ancora considerato la ricostruzione più plausibile di un ipotetico complotto e punta il dito su un gruppo clandestino legato ai servizi segreti di Londra, all'epoca già sospettato di vari omicidi. Posso dire che all'epoca è stato molto apprezzato da Corrado Augias e ha ancora oggi lettrici e lettori.
D'altra parte, come dice lo studioso del complottismo Bob Brotherton, autore del saggio "Suspicious Minds", è sbagliato credere ciecamente a qualsiasi complotto, ma è altrettanto sbagliato escluderli a priori, perché talvolta c'è davvero qualcuno che insabbia o disinforma.





domenica 24 luglio 2022

I delitti di rue Lasueur



Ottant'anni fa, nella Parigi occupata dai nazisti, comincia la propria attività criminale un personaggio sconcertante che nell'immediato dopoguerra la stampa francese soprannominerà "dottor Satana". Ma nel 1942 il dottor Marcel Petiot, sposato e con un figlio, gode di grande stima per la sua attività di volontariato: viene considerato il "medico dei poveri". In realtà vive una doppia vita, se non tripla, che si riflette nelle numerose false identità che adotta in quel periodo, diventando di volta in volta un presunto eroe della Resistenza e uno spietato serial killer a scopo di lucro, che agisce mimetizzato dietro le grandi tragedie di quel periodo: la guerra e i campi di sterminio nazisti.
Che nel dottor Petiot ci sia qualcosa che non torna, in realtà è emerso in tempi non sospetti: nel 1936 fu sorpreso a rubare in una libreria e confessò di essere cleptomane. Dopo sei mesi in una casa di cura gli venne diagnosticato un trauma psichico riportato quando era rimasto ferito durante la Prima guerra mondiale. Dopodiché Petiot è tornato a fare il dottore, comprando una casa in rue Lasueur 21 che doveva servirgli come secondo studio medico, ma verrà usata per tutt'altro.
Nel 1942 si procura un paio di complici ignari, presentandosi con il nome di battaglia di "dottor Eugène", leader di un inesistente gruppo di partigiani chiamato Fly-Tox (una marca di insetticida). Poiché molti ebrei cercano di lasciare Parigi per sfuggire alle deportazioni, Petiot decide di sfruttare l'orrida situazione e promette dietro lauto compenso di farli fuggire all'estero con i loro averi, dando loro appuntamento in rue Lasueur 21. In realtà i fuggiaschi entrano nella casa e spariscono per sempre, lasciando dietro di loro denaro, gioielli e qualsiasi altra cosa possano trasportare.


Nel 1943 tuttavia la Gestapo si convince che un gruppo della Resistenza stia davvero portando in salvo le vittime della persecuzione nazista, perciò costringe un commerciante ebreo a fare da esca e da spia, mandandolo lungo il supposto canale di fuga. Ma anche lui sparisce nel nulla. Intanto però la Gestapo identifica Petiot, lo arresta e lo tortura perché faccia i nomi dei membri del gruppo Fly-Tox, che in verità non è mai esistito. Lui non parla e alla fine viene rilasciato. I suoi compagni di prigonia lo considerano un eroe, perché non ha tradito nessuno. Ma solo perché non c'era nessuno da tradire, in un'orrida truffa che si concludeva con la morte delle vittime.
Nessuno finora ha scoperto il segreto della casa degli orrori e Petiot se la caverebbe, se l'11 marzo 1944, nel tentativo di liberarsi dei cadaveri accumulati, non ingolfasse la caldaia. Dal camino esce fumo nero e maleodorante. I vicini chiamano pompieri e polizia, che trovano i resti smembrati di una decina tra uomini e donne, e una montagna di borse e valigie dei fuggiaschi uccisi nella casa (v. foto sotto). Petiot riesce a far pedere le proprie tracce e assume le mentite spoglie di un partigiano, il "capitano Valery". La farebbe di nuovo franca, se non fosse riconosciuto e arrestato dopo la liberazione di Parigi da parte degli Alleati.
Al clamoroso processo, nel 1946, Petiot dichiara di avere ucciso sessantatré persone, ma tutti nemici o traditori della Francia, e sempre combattendo al servizio della Resistenza, anche se non ci sono prove che ne abbia fatto parte all'epoca dei delitti.


Rimangono senza spiegazione a cosa servisse nella casa di rue Lasueur una stanza triangolare con uno spioncino in una parete e come le vittime fossero assassinate. Al processo c'è persino un momento di pura fantascienza, quando uno dei suoi ignari complici, ancora convinto che Petiot fosse un partigiano, testimonia di averlo visto uccidere un soldato tedesco servendosi di una pistola a raggi!
Ma alla fine il "dottor Satana" viene riconosciuto colpevole di ventisette omicidi, condannato a morte e ghigliottinato il 25 maggio 1946.
Quanto ai misteri irrisolti del caso, si può solo fare appello alla fantasia, cosa che ho fatto io nel mio nuovo romanzo della serie "Martin Mystère" appena uscito in edicola da Sergio Bonelli Editore, "La farfalla dalle ali di ossidiana", in cui il detective dell'impossibile segue la pista dell'arma a raggi attribuita al dottor Petiot.



Il prossimo appuntamento con "La Boutique del Mistero" - ultimo della stagione - è domenica 31 luglio, all'interno del programma di Lukino su Radio Number One, in due parti alle 15.15 e alle 16.15.

giovedì 21 luglio 2022

Iperwriters - Rossana

Photo: Bernd Dittrich on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 2 - Rossana

Venerdì, ore 13. La nave Iperwriters porta (me ne rendo conto scrivendo) la storia dei miei rapporti con le Belle Lettere o, come dite oggi, l'abbozzo di un romanzo di formazione. Avevo tredici anni quando la mia insegnante (volontaria) di scrittura creativa mi ha mostrato la via di fuga dalla vita che altri avevano creato per me.
Eravamo in due a scrivere bene in italiano. L'altra era la mia compagna di banco e grande amica Rossana. Il suo nome era Rosanna, in realtà. Molto più etnico e molto meno prezioso: e lei ne soffriva. Si faceva chiamare Rossana per la protagonista femminile di Cyrano.
Non so come e dove avesse potuto avvicinare Rostand. Forse un libro del padre, o del nonno. Ma che una ragazzina fiutasse e si immergesse in quel mondo era un fenomeno raro, quasi un miracolo nella nostra periferiaccia. Una prova inconfutabile di Letteratitudine (prendo a prestito il titolo di un noto blog), ovvero di attitudine alla Letteratura.
Un'altra, o un altro, non avrebbe prestato la minima attenzione a Cyrano (un'opera straniera, neppure roba di scuola) per dedicarsi a cose più importanti, per esempio bullizzare i bambini più piccoli.
Ricordo il severo sarcasmo della nostra insegnante nei suoi confronti: “Non scrivere che le cime degli alberi sono svettanti, solo perché abbiamo appena letto Manzoni. Cosa credevi di fare? Usa parole tue”. La prof non risparmiava neppure me, che scrivevo colossi con due elle (unico errore con cui ero uscita dalle elementari).
A Rossana e a me la prof pareva ingiusta: gli altri potevano scrivere tutto l'italiacano che volevano, e lei se ne fregava. Ma capivamo anche che in classe lavorava soltanto per noi, e non era una sensazione sgradevole. Per nulla.
Comunque, con Rossana avevamo stabilito che da grandi avremmo fatto la scrittrice o l'archeologa. Ci parevano i soli mestieri degni di essere presi in seria considerazione. Gli altri, quelli che ci proponevano nelle capanne degli schiavi in cui eravamo nate e cresciute, erano improponibili.
Ho ancora una poesia di Rossana, dedicata a me, scritta per parafrasare A Silvia di Leopardi: "Claudia, rimembri ancor quel tempo..."
Che tu sia benedetta, Rossana, dovunque ti trovi adesso.

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...