mercoledì 2 maggio 2018
martedì 1 maggio 2018
Avengers: la Guerra dell'Infinito
Delucidazioni di Andrea Carlo Cappi
Dopo il riassunto della fase più recente del Marvel Cinematic Universe e prima di toccare argomenti
potenzialmente spoiler, posso dire ciò che già si
conosce dalla conferenza stampa dell’ottobre 2014 in cui i Marvel
Studios presentarono i progetti a venire sull’universo basato sui
fumetti di Stan Lee e soci. La vicenda delle Pietre dell’Infinito,
con tutto ciò che esse comportano, non si conclude con questo
film. La storia è stata preparata meticolosamente, aggiungendo
un tassello dopo l’altro, episodio dopo episodio, a partire dal
2011 con Captain America – The First Avenger. La seconda
parte, annunciata per il maggio 2019, si sarebbe dovuta intitolare
Avengers- Infinity War II, mentre ora è etichettata semplicemente come Avengers 4. Circola la voce, attribuita all’attrice Zoe
Saldana, che possa chiamarsi Infinity Gauntlet
(ovvero Il guanto dell’Infinito, titolo della
saga originale a fumetti del 1991). I film del ciclo in uscita prima del
maggio 2019 – i prossimi annunciati sono Ant-Man and The Wasp
e Captain Marvel – sono ambientati prima degli eventi
di Infinity War. Altri tasselli che andranno a comporre lo
scenario completo.
Sul piano pratico, più di
ogni altro episodio dell’MCU, Infinity War richiede la
visione preventiva di una buona parte dei capitoli precedenti con i
vari personaggi. I film sono quasi tutti disponibili in vari supporti
video e alcuni sono già passati sulle reti televisive. Non
entrate quindi al cinema aspettandovi che venga ripresentato singolarmente
ogni personaggio, tra protagonisti e comprimari di ogni serie:
Infinity War dura due ore e trentasei minuti e sono in scena
almeno una settantina tra supereroi, loro parenti, amici, alleati e
nemici, quindi non c’è spazio per i riassunti; fate
riferimento al mio articolo precedente e alla prima parte di questo,
in cui vi ricordo alcuni punti da tenere presente a proposito delle
Pietre dell’Infinito. Sarete avvisati quando cominciano gli
spoiler.
Cosa sono, per cominciare, le
Pietre dell’Infinito? Sono sei gemme forgiate al tempo del Big
Bang, ognuna delle quali ha un potere immenso, pericoloso se dovesse
cadere in mani sbagliate. Sono state custodite per millenni in luoghi
sacri, ma da qualche tempo a questa parte sono riemerse, con
conseguenze spesso devastanti. Perché le Pietre interessano a
Thanos, re di Titano? Ovvio: sia per l’immenso potere che ha
ciascuna di esse, sia per il potere moltiplicato che acquisiscono una
volta riunite. Per questo Thanos dispone del Guanto dell’Infinito,
che dovrebbe raccoglierle tutte e sei.
La Pietra dello Spazio, contenuta
nel Tesseract (o Cubo Cosmico, per chi ricorda i fumetti di Capitan
America degli anni Settanta) è stata recuperata in Norvegia
durante la Seconda guerra mondiale da Johann Schmidt alias Teschio
Rosso (Hugo Weaving); maneggiata da questi con troppo noncuranza
nello scontro finale di Captain America – The First Avenger, la Pietra lo ha scagliato chissà dove nello spazio-tempo, prima di sprofondare nell’Atlantico. È stata recuperata dallo SHIELD (il servizio
segreto dell’universo Marvel) e il suo capo Nick Fury (Samuel L.
Jackson), alla fine di Thor l’ha affidata al professor
Selvig (Stellan Skarsgård)
perché la studiasse. Innescando così la catena di
eventi imprevedibili pilotata da Loki (Tom Hiddleston) in accordo con
Thanos (Damion Poitier), per favorire l’invasione aliena della
Terra fermata nella Battaglia di New York in The Avengers. La
Pietra è stata portata quindi ad Asgard e qui custodita fino al
Ragnarok, quando è stata ritrovata da Loki poco prima della
distruzione totale. Difficile che questi abbia resistito alla
tentazione di appropriarsene di nuovo, portandola con sé
nell’esodo degli asgardiani...
La Pietra della Mente si trovava
nello scettro di Loki, che se n’è servito in The Avengers
per controllare il professor Selvig e Clint ʻOcchio di Falco’
Barton. Caduta in mano all’Hydra (organizzazione creata a suo tempo
dal Teschio Rosso), è stata usata per conferire poteri ai
gemelli Pietro e Wanda Maximoff, che tuttavia sono passati dalla
parte dei buoni. Studiata da Tony ʻIron Man’ Stark e Bruce ʻHulk’
Banner (Mark Ruffalo), ha accidentalmente dato vita al malefico
Ultron (James Spader), per poi animare l’androide benevolo chiamato
Visione (Paul Bettany). La Pietra si trova ora sulla fronte di
Visione. Questi, entrato a far parte dei Vendicatori, ha una storia
d’amore nascente con la collega Wanda ʻScarlet Witch’ Maximoff
(Elizabeth Olsen), anche se in Civil War i due si sono trovati
da parti opposte della barricata.
La Pietra della Realtà, che
si manifesta anche sotto forma di Etere, è stata recuperata
dopo che in Thor – The Dark World è stata usata
nel tentativo di distruggere la Terra da parte di una delle razze
ribelli tenute sotto controllo per millenni dagli asgardiani.
Costoro, non fidandosi a conservare ad Asgard ben due Pietre
dell’Infinito – Spazio e Realtà – hanno affidato
quest’ultima al Collezionista (Benicio Del Toro), che la custodisce
fra i suoi trofei nella propria dimora sul planetoide Knowhere. È
lui a spiegare le origini delle Pietre e il loro potere ai Guardiani
della Galassia.
La Pietra del Potere è
rimasta a lungo indisturbata nel suo contentore, l'Orb, sul pianeta Morag. Fino a quando Thanos
(ora interpretato da Josh Brolin) ha deciso di impadronirsi
dell’intera collezione. Ha incaricato quindi di sottrarla il suo
affiliato Ronan (Lee Pace), mettendogli a disposizione le proprie
figlie adottive, le guerriere Nebula (Karen Gillan) e Gamora (Zoe Saldana). Ma
Ronan intendeva appropriarsene per distruggere il pianeta Xandar, con
cui aveva vari conti in sospeso; Gamora voleva invece venderla al
Collezionista; mentre il primo a rubarla è stato Star Lord (Chris
Pratt), anche se alla fine la Pietra finiva nelle mani di Ronan. È
così che nacquero i Guardiani della Galassia, che riuscirono a
evitare la distruzione di Xandar e affidarono la Pietra alle autorità
locali perché la custodissero.
La Pietra del Tempo è stata
ereditata e impiegata in modo brillante dal dottor Stephen Strange
(Benedict Cumberbatch) nel film a lui dedicato e si trova nel
medaglione che questi porta al collo, denominato Occhio di Agamotto.
Strange ha imparato a usarla con la consulenza più o meno
volontaria del bibliotecario Wong (Benedict Wong), assistente
dell’Antica (Tilda Swinton) di cui è divenuto l’erede come
Signore delle Arti Mistiche.
Quanto alla Pietra dell’Anima,
ancora non si sa dove si trovi, ma qualcuno potrebbe avere un
indizio... E da qui in poi, vi avviso, cominciano gli spoiler!
Libero spoiler, da qui in avanti,
anche se cercherò di moderarmi. Torniamo a quanto stavo per
dire, ma mi sono trattenuto, all’inizio del mio articolo precedente. Le reazioni a Infinity
War da parte del pubblico in sala sono di shock. L’ho visto
alla prima proiezione pomeridiana in una città spagnola, tra
ragazzi che indossavano magliette di Spiderman e Capitan America (io,
per non essere da meno, portavo quella con il logo dello SHIELD).
Ammutoliti e immobili, hanno seguito tutti i titoli di coda in attesa
di un barlume di speranza. Che in effetti arriva nella sequenza dopo
i titoli di coda, tenue e ancora non del tutto chiaro: il suo
autentico significato verrà precisato dall’imminente Captain
Marvel. Una ragazza, alzandosi infine per uscire, ha mormorato:
«Sto ancora tremando».
Non siamo infatti di fronte a una
situazione tipo L’impero colpisce ancora, in cui alla fine,
sì, Han Solo era stato catturato, ma gli eroi si accingevano
ad accorrere in suo aiuto, rassicurando gli spettatori per il
seguito. Qui siamo di fronte a una situazione come quella in cui
James Bond stringeva imbambolato il cadavere della moglie, mentre
Blofeld se ne andava libero di conquistare il mondo. In questo caso,
anche peggio, dal momento che l’obiettivo di Thanos è
purificare l’universo eliminandone metà degli abitanti.
Ciliegina sulla torta: il messaggio che alla fine di ogni film
promette il ritorno imminente di uno degli eroi visti in scena si
riduce stavolta a un lapidario Thanos will return. Perché
alla fine la sconfitta è totale e rimane in piedi quasi solo
lui.
Il conteggio delle vittime
comincia fin da subito, quando a conferma dei nostri timori
l’astronave che intercetta i profughi asgardiani risulta proprio
essere quella di Thanos. Mentre Heimdall spedisce al volo Bruce
Banner sulla Terra, Thor viene catapultato nello spazio e recuperato
dai Guardiani della Galassia, che danno il loro tocco di umorismo in
una situazione drammatica.
Ha inizio così una
singolare combinazione di squadre di eroi che combattono sulla Terra,
su Titano e su Knowhere per impedire a Thanos di completare la
collezione. Ma non è facile, perché una pista conduce il malefico alla finora introvabile Pietra dell’Anima, custodita da una
figura già nota (riconoscibile anche se ne è cambiato
l’interprete). Si arriva così alla grande battaglia finale
nel Wakanda, in cui il premio è la Pietra della Mente, che non
può essere rimossa dalla fronte di Visione senza ucciderlo...
a meno di realizzare per tempo una complessa operazione e distruggere
la gemma prima che sia troppo tardi.
In fondo è vero: pur
circondato da tutti gli eroi Marvel, è Thanos il vero
protagonista del film, il personaggio che ha maggiore spazio per
l’introspezione psicologica. Il suo obiettivo è così
importante da convincerlo a fare qualsiasi sacrificio personale, che
ovviamente costa la vita a qualcun altro.
Ed è una scelta coraggiosa
quella della Marvel di realizzare un film monumentale che interrompe
la storia nel momento della più completa e disperante débacle.
Ma siamo solo a metà di Infinity War e non va
dimenticato che le Pietre possono modificare Tempo, Spazio e Realtà
tanto per il peggio quanto per il meglio.
lunedì 30 aprile 2018
Avengers: alle porte dell'infinito
Panoramica di Andrea Carlo Cappi
Il momento che i fan del Marvel
Cinematic Universe aspettavano è arrivato: l’uscita di
Avengers – Infinity War. E le reazioni del pubblico in sala
sono... Ve lo dico nel prossimo articolo: questo è uno di quei
casi in cui è difficile parlare di un film senza inciampare
negli spoiler. Per ora comincio a occuparmi degli episodi dell’MCU
che hanno portato al nuovo film... e già ora vi avviso di
spoiler per chi ancora non li abbia visti.
Comincio a precisare, per chi
negli ultimi anni abbia consumato una manciata di film di supereroi e
abbia le idee confuse, che in questo universo non ci sono i
personaggi della DC Comics (quella di Superman, Batman e WonderWoman). Ma non ci sono nemmeno altri personaggi della Marvel Comics
apparsi al cinema di recente e che sul grande schermo seguono un
percorso diverso: dai Fantastici Quattro – stroncati peraltro da un
pessimo e inutile reboot dopo due buoni film degli anni
Duemila – agli X-Men, inclusi Wolverine/Logan e Deadpool, che
invece hanno sempre mantenuto un ottimo livello.
Nel caso dell’MCU non si tratta
di semplici origins movie e relativi sequel, bensì di
un complicato tessuto narrativo in cui a volte personaggi importanti
appaiono e si sviluppano in pellicole che non portano il loro nome.
La storia generale va avanti anche se avete un attimo di distrazione
e vi perdete qualche supereroe in apparenza secondario.
Per esempio, a molti spettatori
non assidui può essere sfuggito Ant-Man, film del 2015
dedicato a un personaggio ideato da Stan Lee nel 1962 e a lungo
presente nei fumetti Marvel assieme alla moglie The Wasp: due
supereroi in grado di miniaturizzarsi, entrambi poi arruolati nei
Vendicatori; Ant-Man in seguito avrebbe invertito il processo di
miniaturizzazione diventando Giant Man, per cedere infine il ruolo
dell’uomo-formica al successore Scott Lang.
Nella versione cinematografica il
primo Ant-Man, Hank Pym (Michael Douglas) e la prima Wasp, Janet Van
Dyne (che dovrebbe apparire nell’imminente sequel con il volto di
Michelle Pfeiffer), risultano essere stato attivi negli anni Ottanta
al servizio dello SHIELD, il servizio segreto che in seguito avrebbe
riunito i Vendicatori; fino a quando Janet non è scomparsa in
missione. Ora Pym e sua figlia Hope (Evangeline Lilly) istruiscono il
criminale informatico dal cuore d’oro Scott Lang perché
riporti in azione Ant-Man. Alla fine del film si intuisce che Hope
riprenderà il ruolo di Wasp e che Ant-Man sarà
arruolato tra i Vendicatori ribelli in Civil War.
Quest’ultimo è uno degli
episodi chiave nella serie Avengers, anche se ufficialmente è
il terzo film di Capitan America. Civil War è
liberamente basato sulla saga omonima a fumetti, che circa una decina
di anni fa coinvolse l’intero universo Marvel. Nel film, di fronte
alle richieste internazionali di mantenere un controllo sulle azioni
dei supereroi dopo quanto avvenuto in Age of Ultron, i
Vendicatori si scindono in due gruppi: uno fedele a Tony Stark alias
Iron Man (Robert Downey Jr.), fautore della supervisione dell’ONU,
l’altro fedele a Steve Rogers alias Capitan America (Chris Evans)
che invece sostiene una rapidità di risposta alle minacce
straordinarie per affrontare le quali si è costituito il
gruppo.
Alla fine Cap abbandona il suo
scudo e i colori americani del suo costume, mentre con alcuni dei
suoi compagni viene bollato come fuggitivo. Lo rivedremo in Infinity
War con la barba lunga e con le stelle e strisce dell’uniforme
annerite... un abbigliamento che richiama i fumetti degli anni
Settanta in cui Steve Rogers, sentendo traditi i valori che lo
avevano generato, adottò per qualche tempo un costume nero e
il nome di battaglia Nomad.
In Civil War non ritorna
solo, stavolta dalla parte dei buoni, Bucky Barnes alias Winter
Soldier (Sebastian Stan), amico fraterno di Cap nel primo film di
questi e – vittima di un lavaggio del cervello da parte dei
sovetici – mortale avversario nel secondo; così nel Team
Cap vediamo Ant-Man, collaudare l’effetto Giant Man.
Ma in Civil War appare per
la prima volta, nel Team Iron Man, la nuova versione di
Spiderman (Tom Holland), assai diversa tanto da quella della trilogia
di Sam Raimi quanto da quella del meno convincente reboot
arrestatosi dopo il secondo episodio.
Sempre in Civil War viene
introdotto l’eroe africano T’Challa (Chadwick Boseman), che
eredita dal defunto padre il costume e i poteri di Black Panther.
Entra in scena nel 2017 un altro
personaggio storico della Marvel Comics: Stephen Strange, il signore
delle arti mistiche protagonista di Doctor Strange,
interpretato alla perfezione da Benedict Cumberbatch. Un film che
risalta tanto sul piano tecnico per lo sviluppo di effetti speciali
collaudati in Inception di Chris Nolan, quanto sul piano della
saga, in quanto mostra il potere della Pietra del Tempo, che si
rivelerà determinante in Infinity War.
Nella sequenza dopo i titoli di
coda, che i fan dei Marvel Studios hanno imparato ad aspettare
pazienti senza precipitarsi fuori dal cinema come se da ciò
dipendesse la loro sopravvivenza, c’è l’anteprima di una
scena con Strange e Thor che si vedrà in Ragnarok.
Nell’estate 2017, senza ripetere
per la terza volta le sue origini, il personaggio di Peter ʻSpidey’
Parker si esibisce in Homecoming, un proprio film collegato
alle conseguenze della battaglia di New York nel primo The
Avengers. L’adolescente Spiderman ha Tony Stark come mentore e
l’Avvoltoio (un notevole Michael Keaton) come avversario. Non mancano apparizioni di Pepper (Gwyneth Paltrow) e Happy (Jon Favreau) dai film di Iron Man. E non
dimentichiamo un’adorabile Marisa Tomei nei panni di zia May,
personaggio notevolmente ringiovanito rispetto alla vecchina dei
fumetti ma più adeguata ai nostri tempi. Come del resto questo
più giovane Spiderman del cinema ben restituisce, seppure in
una rilettura contemporanea, lo spirito del ragazzino sfigato dei
fumetti di Lee e Ditko del 1962.
Ulteriore apporto fondamentale in
questi ultimi anni è stato quello di due film dal successo
inaspettatamente clamoroso: Guardians of the Galaxy e
Guardians of the Galaxy vol. 2, basati su una serie spaziale a
fumetti della Marvel. A prima vista sembrerebbero non aver molto a
che fare con il filone degli Avengers, ma in realtà
sviluppano gradualmente la figura inquietante di Thanos (Josh
Brolin), già intravisto in The Avengers e destinato a
essere il più spaventoso cattivo dell’intera saga.
Le
due pellicole mettono insieme un improbabile manipolo di personaggi
in grado di essere al tempo stesso idioti integrali ed eroi assoluti:
il terrestre Peter Quill alias Star Lord (Chris Pratt); una delle due
figlie adottive e ribelli di Thanos, Gamora (Zoe Saldana, bellissima
anche in versione verde, dopo la pelle blu indossata in Avatar);
il rude Drax (Dave Bautista), cui Thanos ha sterminato come
d’abitudine la famiglia; e il procione mutato Rocket Raccoon
(Bradley Cooper in motion capture) con il suo braccio destro
Groot – albero parlante con la voce di Vin Diesel – che dopo
essersi sacrificato nel primo film ricresce un po’ alla volta fino
a diventare un capriccioso adolescente dedito ai videogiochi, come lo
ritroviamo in Infinity War.
È anche l’ingresso
ufficiale dello humour nell’MCU: se prima poteva esserci qualche
aspetto ironico, qui gli elementi drammatici si mescolano ad aspetti
decisamente, sfrenatamente comici. Nella sub-serie, di cui è
già stato promesso un Vol. 3, appaiono anche Michael
Rooker nel ruolo del pirata spaziale Yondu, Kurt Russel nella parte
di Ego, ma anche Sylvester Stallone e Michelle Yeoh. Della squadra
entrano a far parte inoltre l’altra figlia adottiva – suo
malgrado – di Thanos, Nebula (Karen Gillan) e l’ingenua aliena
empatica Mantis (Pom Klementieff), che appariranno a loro volta in
Infinity War.
Il vantaggio è che tutte le
razze spaziali hanno una padronanza perfetta della lingua inglese e
l’adottano come idioma di base, il che facilita in maniera notevole
la comunicazione, le minacce e gli insulti tra alieni e terrestri. A
parte Groot, che com’è noto è in grado di dire solo
ʻIo sono Groot’. La lingua inglese universale è una
convenzione consolidata nei fumetti ed ereditata dai film. È
noto del resto che gli asgardiani hanno un marcato accento
britannico-shakespearaiano, anche se possono perderlo un po’ alla
volta a forza di bazzicare gli States.
E, parlando di abitanti di Asgard,
in Ragnarok – che ufficialmente era il terzo film di Thor
(Chris Hemsworth) ma di fatto era ormai immerso nella continuity
generale – abbiamo ritrovato Loki (Tom Hiddleston) sempre più
doppiogiochista, che accompagna il fratello alla ricerca del padre
Odino (Anthony Hopkins); ritrovato Hulk, sparito alla fine di Age
of Ultron, che dopo un clamoroso scontro con Thor si ritrasforma
nel proprio alter ego umano Bruce Banner (Mark Ruffalo); conosciuto
la Valchiria (Tessa Thompson). Tutti costoro, sopravvissuti alle
insidie del pianeta Sakaar, pattumiera cosmica gestita dal debosciato
Grandmaster (Jeff Goldblum) e incentrata sulle sfide tra gladiatori,
si uniscono a Heimdall (Idris Elba), per fare i conti con la dea
della morte Hela (Cate Blanchett) e il suo braccio destro,
l’Esecutore (Karl Urban).
Se il film ha un sottofondo
umoristico molto vicino a quello di Guardians of the Galaxy,
la battaglia finale porta alla fine di Asgard, il Ragnarok della
mitologia nordica. E all’evacuazione in massa dei suoi abitanti
superstiti su un’astronave che, si intuisce nella sequenza dei
titoli di coda, si trova sulla rotta di qualcun altro...
Dopo il primo Avengers l’MCU è
tracimato anche in tv, con diverse serie spin-off collegate alle
trame dei film, anche se ne subiscono le conseguenze senza
influenzarle... e i relativi personaggi non appaiono ancora (o non
appaiono più) sul grande schermo.
Unica vera occasione mancata in
questo grande progetto Marvel: Black Panther, manifestamente
il film realizzato in modo più frettoloso e approssimativo
(nella sceneggiatura, non negli effetti speciali), sprecando il
materiale epico a disposizione. Un primo, vistoso, errore di
montaggio: nella sequenza pre-titoli – anziché l’efficace
scena che si vede più avanti, in cui l’eroe eponimo affronta
una banda di terroristi stile Boko Haram – viene tolta
completamente ogni carica emozionale, collocando in posizione
introduttiva un per nulla epico antefatto, che avrebbe potuto essere
inserito poi come flashback. Così come viene liquidato in modo
troppo sbrigativo il cattivo Clau (Andy Serkis, finalmente di
persona, non come personaggio in CGI), già ben prefigurato in
Age of Ultron, lasciando spazio invece a Killmonger (Michael
B. Jordan), con una pettinatura un po’ troppo alla moda per essere
davvero convincente.
Il film si risolve dunque in
un’introduzione all’entourage del sovrano del Wakanda, che si
vedrà in gioco in Infinity War, con una bella scena di
inseguimento nella parte più spionistica della vicenda e
un’interessante battaglia finale, ma niente di paragonabile a
qualsiasi altro film del ciclo. Avremo modo di rifarci proprio con
Infinity War. Ma di questo parliamo nel prossimo articolo.
martedì 24 aprile 2018
Stagione di mostri
Cronache di Andrea Carlo Cappi
Una
bella stagione di monster movies è in corso: mentre è
in preparazione per il 2019 un nuovo capitolo del cosiddetto
Monsterverse dopo il recente Godzilla e
il successivo Kong-Skull Island,
in poche settimane nella primavera 2018 escono Pacific Rim-La
rivolta (Pacific Rim
Uprising) e Rampage-Furia
animale (Rampage).
Ma
da cosa dipende la riuscita di un kaiju eiga,
per dirla alla giapponese, ovvero un film di mostri giganti?
Si potrebbe rispondere: dagli effetti speciali. Tuttavia oggi il
livello delle animazioni al computer del cinema statunitense è
tale da rendere credibili sullo schermo le creature più
disparate e fantasiose, di ogni taglia. Sono lontane le epoche di
Willis O’Brien (creatore del primo King Kong) e Ray Harryhausen con
le loro meravigliose animazioni stop motion, o di Carlo
Rambaldi con le sue sofisticate costruzioni artificiali, così
come quelli di attori costretti a indossare imbarazzanti costumi da
mostro e aggirarsi su set in miniatura, o delle lucertole truccate da
dinosauri. Non che si debbano mettere in soffitta tutti quei film,
che anzi conservano il loro fascino e servono tuttora da modello.
Oggi
viene piuttosto da rispondere: la riuscita dipende dalla
sceneggiatura. La quale, per non tradire il filone, deve spesso
soggiacere a un certo numero di stereotipi: umani malvagi che in
preda all’hybris della
scienza e del marketing manipolano la natura e scatenano forze
incontrollabili; creature immani – non tutte sempre davvero
cattive... dipende da chi le controlla – che per una ragione o per
l’altra si danno battaglia, devastando possibilmente la città
che diviene teatro del conflitto.
In
Rampage di Brad Peyton
(regista che ha già guidato Dwayne Johnson negli scenari di
distruzione di San Andreas)
si rispetta la tradizione dei monster movies,
anche se non la trama dei videogiochi su cui è basata la
vicenda. Nei videogame i protagonisti erano George, Ralph e Lizzie,
esseri umani mutati da esperimenti in mostri giganti, rispettivamente
un gorilla alla Kong, un mega-licantropo e un super-rettile stile
Godzilla. Nel film uscito negli USA il 13 aprile 2018 le cose vanno
diversamente: un disastro in un laboratorio spaziale – dove la
bieca multinazionale Energyne ha elaborato un virus sperimentale a
trasmissione aerea – fa sì che piovano sulla Terra (e sugli
Stati Uniti) i contenitori del pericoloso gas. Uno finisce nella
riserva zoologica di San Diego, dove risiede il gorilla albino
George; un altro tra un branco di lupi grigi del Wyoming; un altro tra i
coccodrilli delle Everglades. Il virus produce, a seconda della
quantità inalata, un incremento dell’aggressività nei
soggetti, una crescita smisurata e svariate mutazioni del DNA, che
adotta caratteristiche di specie diverse. Per recuperare campioni del
prezioso virus, i titolari della multinazionale hanno la brillante
idea di chiamare i bestioni infuriati attraverso un segnale radio che
li guida fino alla sede centrale di Chicago. Con tutte le conseguenze
del caso.
Ciò che rende Rampage un
film piacevole sono gli interpreti. Dwayne Johnson - già
gigantesco di suo e a suo tempo metamorfizzato in mostro in un film de La mummia - è Davis Okoye, l’esperto di primati che
ha insegnato a George (realizzato con la motion capture
sull’attore Jason Liles) il linguaggio dei segni e se n’è
guadagnato l’amicizia; in passato Okoye è stato cacciatore
di bracconieri in Africa e prima ancora ha combattuto nelle forze
speciali USA, il che gli permette di maneggiare armi di grosso
calibro, pilotare elicotteri e fare tutto ciò che occorre in
un film d’azione.
Al suo fianco, la sempre gradita Naomie Harris è
la dottoressa Kate Caldwell, i cui studi sul DNA puntavano alla
ricerca di una cura per il fratello malato; ma sono stati rielaborati
a scopo bellico dalla subdola titolare della Energyne, Claire Wyden
(Malin Akerman), che ha mandato in galera per un po’ la scienziata,
impedendole di salvare il fratello. Un ironico Jeffrey Dean Morgan (John Winchester nella serie Supernatural, per citare una delle sue numerose apparizioni) è
l’agente governativo Russell, che spalleggia gli eroi nella loro
missione: ricondurre George a più miti consigli perché
combatta gli altri due mostri, peraltro molto più grossi e
mutati di lui.
Sul versante del Pacifico la sfida
è difficile ma i risultati sono nettamente più
originali. Il confronto con il precedente Pacific Rim diretto
da Guillermo Del Toro (qui solo supervisore, mentre la regia è
di Steven S. DeKnight) poteva essere schiacciante, ma diviene uno
stimolo efficace per il sequel della pellicola che univa in stile
americano due classici filoni giapponesi: il kaiju e il mecha.
Nel nuovo film, uscito il 23 marzo 2018, sono passati dieci anni da
quando è stato chiuso il varco interdimensionale in fondo
all’oceano da cui una razza misteriosa – i Precursori – inviava
per ignote ragioni i mostri giganteschi detti kaiju a
devastare le città costiere del Pacifico. Forse è tempo
che gli Jaeger – i colossali robot che costituivano l’ultima
linea di difesa dell’umanità – vadano in pensione con i
loro piloti, ma molti temono una nuova invasione e la multinazionale
controllata dall’apparentemente gelida Liwen Shao (Jing Tian nel
suo sommo splendore) cerca con ogni mezzo di far approvare un nuovo
programma di Jaeger telecomandati. E in questo scenario appare un
robot ribelle dei cui piloti non si conosce l’identità, che
attacca Sidney con una mossa che, più che di rivolta, sa di
strategia della tensione.
Tornano in scena alcuni personaggi
del film precedente, tuttavia al centro della vicenda è Jake
Pentecost (John Boyega), figlio del personaggio interpretato da Idris
Elba nel primo film, che all’accademia dei piloti preferirebbe il
rischioso mercato nero dei pezzi di robot, ma dopo l’ennesimo
arresto viene costretto a tornare in servizio; lo affiancano
l’amico-rivale Nate Lambert (Scott Eastwood) e l’orfana
quindicenne Amara Namani (Cailee Spaeny, in realtà ventenne),
arruolata come cadetto dopo che ha affrontato uno Jaeger pilotando il
proprio robot fatto in casa. La sceneggiatura riserva una serie di
colpi di scena ben assestati, che non è affatto il caso di
rivelare, ma chi attende le grandi battaglie con i kaiju non
resterà affatto deluso. E, prima di ventilare un possibile
sequel, viene data risposta a un antico mistero: perché da
sempre i mostri attaccano Tokyo? Be’, avranno le loro
buone ragioni... In poche parole, imperdibile, quantomeno per chi ama mecha e kaiju sul grande schermo.
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