venerdì 30 settembre 2022

Ôgon Batto (Il ritorno di Diavolik)


Recupero di Andrea Carlo Cappi

Grazie a Bloodbuster e a case di distribuzione video, come in questo caso la Sinister Film, che riportano alla luce pellicole scomparse da decenni, si scopre sempre qualcosa di nuovo. Per esempio il dvd del 2020 di un film del 1966 il cui titolo sembrava dire una cosa, l’immagine di copertina un’altra, ma credits e quarta di copertina di questa attenta edizione ne svelano subito le origini nipponiche e gli inganni della distribuzione italiana, accendendo un’immediata curiosità. L’ottima pubblicazione, con audio italiano e giapponese sottotitolato, trailer nelle due lingue e galleria fotografica, contiene anche un poster double-face dei manifesti italiani. Il protagonista del film altri non è che il personaggio noto in Italia come Fantaman, precursore di Superman e Batman, e tra gli interpreti appare un giovane Shin’ichi ‘Sonny’ Chiba, futuro attore di culto voluto da Tarantino in ‘Kill Bill’.
Ma nel 1968 un titolo come ‘Il ritorno di Diavolik’ poteva indurre uno spettatore distratto ad aspettarsi il seguito del ‘Diabolik’ di Mario Bava, dai fumetti delle sorelle Giussani inaugurati con successo nel 1962. Manifesti e fotobuste dell’epoca mostravano scene (disegnate) tra poliziesco e action che non esistono nel film e un protagonista stile ‘Kriminal’, il fumetto di Magnus & Bunker nato nel 1964 sull’onda di ‘Diabolik’ e portato sullo schermo da Umberto Lenzi (1966) e Fernando Cerchio (1968). Ciliegina sulla torta: sulle locandine sono accreditati il regista Terence Marvin Jr. e gli interpreti Thomas Lee, Peter Conway e Deborah Scott, quest’ultima probabilmente la bionda dai vestiti laceri avvinghiata alle gambe del protagonista. Ma neanche loro sono mai esistiti: un tipico esempio di pubblicità ingannevole, per inserire il film in un filone quando apparteneva a tutt’altro.
Perché, una volta in sala, lo spettatore si trovava di fronte una pellicola giapponese in bianco e nero datata 1966, su un quantomeno bizzarro protosupereroe che ha davvero una faccia da teschio come quella di Kriminal... ma non è una maschera, è proprio la sua, con qualche dente mancante. Lo dicevano qualche settimana fa in streaming i Manetti Bros. e i ragazzi di Bloodbuster: negli anni Sessanta-Settanta molte pellicole venivano distribuite con titoli improbabili, deliranti e, soprattutto, truffaldini, per attirare al cinema spettatori ignari sfruttando i successi del momento. Su MyMovies ‘Il ritorno di Diavolik’ risulta distribuito nel 1968 e si riporta una stroncatura di ‘Segnalazioni cinematografiche’ del 1974. All’epoca nessuno poteva sapere quanto oggi si apprende in pochi minuti su Internet.


Il lungo preambolo serve ad arrivare alla vera storia di Fantaman, che ho appena scoperto indagando su Internet. Il personaggio (vedi sopra) è considerato il primo supereroe della letteratura disegnata. Nacque nel 1931, ma non per i fumetti: ai tempi e fino al dopoguerra, per il Giappone vagavano ancora i cantastorie, detti ‘kamishibaiya’ (da ‘kamishibai’, teatro di carta) che anziché accompagnarsi con la musica si servivano di un corredo di illustrazioni. A realizzare testi e disegni erano specialisti, tra cui figuravano i giovani Ichiro Suzuki e Takeo Nagamatsu, creatori di un personaggio chiamato Ôgon Batto, un essere sovrannaturale dal teschio dorato, con un ampio mantello che anticipa di otto anni quello di Batman.
Il nome è la traduzione nipponica dell’inglese ‘Golden Bat’, marca di sigarette economiche diffusa all’epoca in Giappone, su cui figura un pipistrello d’oro: pare che i due autori sperassero di ottenerne una sponsorizzazione, ma non ebbero successo. Peraltro, se Ôgon nella pronuncia richiama casualmente Ogoun, divinità voodoo, ‘batto’ in giapponese non si riferisce a ‘bat’ nel senso di pipistrello (che, apprendo, si dice ‘koumori’) bensì a ‘bat’ nel senso americano di ‘mazza da baseball’, sport che giusto a quell’epoca stava conoscendo una particolare diffusione in Giappone, arrivando ai primi campionati negli anni Trenta. In realtà l’arma di Ôgon Batto è più simile a un bastone da passeggio. Il personaggio è un superuomo volante, immune ai raggi laser e ultimo superstite di una civiltà perduta, al pari di Superman che vedrà la luce nel 1938; ma è originario di Atlantide e riappare dopo diecimila anni... parlando perfettamente il giapponese moderno, beninteso. Detto fra noi, al pubblico occidentale uno zombie con la testa a teschio che si preannuncia con una risataccia malefica non fa pensare immediatamente a un protettore dell’umanità.
Nel 1950 il protosupereroe approda al cinema con ‘Ôgon Batto: Matenrô no Kaijin’ (il titolo contiene, credo, le parole ‘fantasma’ e ‘grattacielo’) su cui non trovo molte informazioni. Nel 1964 la saga viene convertita in una corposa serie manga (edita nel 2006 anche in Italia), non so quanto fedele alla versione degli anni Trenta. Dai riassunti vedo che la storia comincia quando la piccola Maria Corallo, figlia di un archeologo italiano alla ricerca di Atlantide e unica superstite della spedizione di questi, viene salvata da una squadra di scienziati; ritrovato un sarcofago atlantideo, il gruppo risveglia la creatura che vi giace e che instaurerà un rapporto protettivo soprattutto con la bambina. Nel 1966 esce il film che dà origine a questo articolo, mentre nel 1967-68 viene realizzata la serie a cartoni animati che, esportata in tutto il mondo, rende noto fuori dal Giappone il personaggio come Phantaman, Phanta Man o, in Brazile... Fantomas! In Italia approda con il titolo ‘Fantaman’ nel 1981, nell’ondata di anime e telefilm, fino a quel momento inediti da noi, che trovano spazio sulle televisioni private.


E dopo quest’altra lunghissima premessa, occupiamoci del film live action del 1966. Il giovane scienziato Akira scopre che la traiettoria del planetoide Icarus è cambiata e prevede un disastroso impatto contro la Terra, ma i suoi colleghi ridono di lui. Mentre torna a casa angosciato, viene caricato su un’auto da quattro ‘uomini in nero’ che senza dare spiegazioni lo portano fino a un laboratorio segreto. Questo si rivela una struttura delle Nazioni Unite gestita dal professor Pearl (unico attore occidentale, tale Andrew Hughes, di origine australiana, divenuto caratterista nel cinema nipponico) e dal dottor Yamatone (Sonny Chiba), in cui operano anche la bella e rassicurante Naomi e la nipotina di Pearl, Emily. Tutti costoro si rendono ben conto della minaccia e hanno realizzato un cannone laser in grado di distruggere Icarus prima dell’impatto. Senonché si sono persi i contatti con la spedizione inviata alla ricerca del quarzo da cui ricavare la lente per generare il raggio.
Raggiunte le ultime coordinate della spedizione scomparsa con un veicolo volante – che, come quello dei cattivi, ricorda in modo non disprezzabile gli effetti speciali di ‘Thunderbird’ – il gruppo scopre che corrispondono a un’isola sconosciuta, su cui i ricercatori sono stati decimati. Tra le rovine similelleniche, alcuni geroglifici (in realtà, a occhio, lettere greche e scarabocchi) fanno riferimento al profeta Johannes (se stiamo parlando dell'autore dell'Apocalisse, c’è qualche anacronismo di fondo), indicando che si tratta di una porzione di Atlantide misteriosamente riemersa per poche ore dopo dieci millenni. Ma spunta dal mare una torre-trivella-astronave, da cui il cattivo comunica di essere responsabile, chissà come e per pura malvagità, di avere deviato la traiettoria di Icarus per distruggere il pianeta.
Per portarsi avanti, manda una squadra di paraninja e uccidere i buoni, ma durante la sparatoria a colpi di laser questi si rifugiano in una cripta in cui trovano il sarcofago (egizio) di Ôgon Batto, con opportune iscrizioni per risvegliarlo, messe in atto dalla piccola Emily. Sarà quindi, nel corso del film, l’antico eroe redivivo a risolvere quasi tutti i problemi, fino a quando la trivella spunta con effetti distruttivi in centro a Tokyo perché il cattivo possa godersi in prima fila lo spettacolo dell’apocalisse, prima di fuggire nello spazio. O almeno questo è il suo piano.


Pittoreschi i sicari malvagi: Piranha, avvenente assassina in grado di smaterializzarsi e assumere sembianze altrui; Keroid (Keloid), del quale basta guardare metà faccia per capire l’origine del nome, psicopatico fuori controllo che può a sua volta trasformarsi in altri personaggi mediante un’apposita macchina; e Jackal, una sorta di Wolverine ante litteram.
Il meno convincente nel film è proprio il cattivo, l’umanoide Nazo, con orecchie da pipistrello e quattro occhi (uno dei quali emette raggi mortali), probabile vittima di un orrido incidente perché ha una tenaglia al posto della mano sinistra e un supporto tecnologico in luogo delle gambe; ma il costume di scena lo fa sembrare solo una specie di mostruoso orsacchiotto; per fortuna, dato che gli alieni di solito parlano inglese, lui invece parla giapponese e forse per questo sceglie Tokyo anziché New York come fanno i suoi colleghi.
Ma tutto finisce bene (be’, i danni alla Luna urtata da Icarus prima di essere distrutto causeranno di certo sconvolgimenti sulla Terra, ma nel film non li vediamo) ed Emily saluta con «Sayonara, Ôgon Batto» l’eroe che decolla verso le montagne al termine di un B-movie di fantascienza per un pubblico di ragazzini. Ma, visto con la giusta prospettiva, è persino piacevole.



venerdì 23 settembre 2022

Iperwriters - Nati alternativi

Photo: Nishan Jain on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 6 - Nati alternativi

Venerdì, ore 13. Sono fuori corso, a navigare nell'oceano Alternativo.
Ero, come Max e poche altre persone, alternativa a tutto. Non avrei voluto esserlo: per temperamento sono una conservatrice. Ma la mia condizione mi poneva nell'alternatività. Non c'era posto per noi.
Quando, molti anni dopo, ho deciso di recuperare gli esami già dati (non butto mai via niente che possa ancora servire) e laurearmi, sono stata più che alternativa.
Santa Caterina da Siena è il personaggio più alternativo della storia d'Italia: non piace a nessuno. E' patrona d'Italia ma gli italiani la odiano. Odiano la chiesa cattolica, odiano le donne (soprattutto quelle di talento) e provano una santa ripugnanza per una che raccoglie fra le mani la testa di un decapitato. Un'anoressica psicopatica sessualmente frustrata.
Ma si dà il caso che Caterina Benincasa sia anche una grande scrittrice italiana. Se lo stile fosse stato davvero prioritario nella nostra editoria (come proclamavano allora), avrebbero dovuto ristampare e vendere lei al posto dei capolavoristi costruiti e spammati sul mercato.
Ho sempre amato i più odiati: è un mio tratto distintivo. Come la fascinazione per le donne autorevoli.
Per circa tre anni abbiamo vissuto nella biblioteca comunale, leggendo, scrivendo e traducendo. Perdendo gli anni che non abbiamo mai perso dalle elementari alla maturità, quando essere bocciati pareva una tragedia.
Ma che fare da grandi?
Ancora negli ultimi tempi della sua vita Max mi diceva che gli sarebbe piaciuto essere un insegnante. Alla fine dell'Ottocento, o al più tardi quando lo era Pirandello.
Avete letto (o vi hanno letto) Cuore di De Amicis? Ricordate la scena in cui il padre del muratorino entra nella casa signorile del maestro di suo figlio, umile e rispettoso, timoroso di sporcare di calce le poltrone?
Bene, ho visto con le mie fosche pupille una maestra strisciare (trattata da pezzente) davanti al tipo che le ristrutturava la casa (in abiti firmati).
Saremmo stati insegnanti con felicità nostra e dei nostri allievi, anche da schiavi sottopagati, se solo avessimo potuto conservare rispetto e dignità.
Max ha lasciato l'Università al primo anno e non si è mai laureato.

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venerdì 9 settembre 2022

Iperwriters - Nati fuori corso

Photo: Ian Taylor on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 5 - Nati fuori corso

Venerdì, ore tredici. Ora sto navigando al primo anno di Università.
Non sapevo che la Facoltà di Lettere fosse l'ascensore per l'inferno. Come potevo saperlo, a meno di vent'anni?
Avevo letto di Oxford e Cambridge e della Sorbonne (per restare in Europa), e mi ritrovo insieme a centinaia di persone in un'aula di Letteratura Italiana che pare una sommossa popolare.
A dare esami insieme ad altri sei o sette per passare senza aver studiato perché parlano gli altri. A dare esami avendo letto solo le quarte di copertina dei libri, perché basta dire due cazzate. A frequentare insulsi e odiosi corsi monografici utili a tutti tranne che a me.
La carriera? L'insegnamento, naturalmente. Che mi incuteva un sacro terrore.
Perché avevo visto i miei insegnanti alle medie superiori, brava gente che si sforzava onestamente di rendere stimolante quello che lo era già. Li avevo visti ridicolizzati, sghignazzati, sputtanati in disegni e scritti osceni. Ne ricordo uno, che veniva letto collettivamente, in latino maccheronico: Eius pater volebat masculum, eius mater volebat feminam, postea naquit id, et fuerunt entrambi contenti.
La sventurata qui descritta era la prof di matematica. L'hanno bombardata con cancellini sporchi e calzini da ginnastica puzzolenti. Lei con l'abito nero coperto di macchie di gesso spiraliformi e un calzino penzolante da una spalla. La scena pareva quella di Carrie quando le lanciano addosso gli assorbenti nella doccia: sconvolgente.
La sola idea di entrare in una classe di liceo mi gettava nel panico. Mi vedevo coperta di calzini, o peggio, di stronzi.
Max, il mio futuro marito (che avevo appena conosciuto), era convinto che avrei dovuto insegnare all'Università. In seguito un amico accademico mi avrebbe confessato che per avere una cattedra vicino a casa sarebbero dovute morire otto persone, come nella monarchia inglese.
Per i posti da ricercatore c'erano liste d'attese lunghe quanto cortei di protesta. Decine, forse centinaia di persone più belle, preparate, brillanti, popolari di noi.
Anche noi, in potenza, lo eravamo, ma crescere senza scopo negli alloggi degli schiavi sfigura la bellezza, avvilisce la cultura, spegne lo scintillio, schiaccia talmente tanto nel popolo da rendere impossibile la popolarità.

venerdì 26 agosto 2022

Iperwriters - Pensiero orizzontale

Photo: Thais Morais on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 4 - Pensiero orizzontale

Venerdì, ore 13.
Mi sto avvicinando agli esami di maturità, e da un anno a scuola non lavoro più. Mi devono perfino prestare i libri in classe. Colpa del mio carattere troppo diritto e intransigente: se lo studio non serve a ottenere l'amore dei coevi, perché affaticarsi?
Mantengo comunque la mia fama di secchiona. Vedo persone che disprezzano i secchioni alzarsi alle sei del mattino per ripassare, ma la secchiona sono sempre io: la secchioneria è naturale, non acquisita.
Con gli insegnanti spendo un credito di stima pregressa. Credo che alcuni di loro mi vogliano bene, perché ho amato (e amo ancora) quello che insegnano. Forse sono la fune a cui aggrapparsi per non sprofondare, l'antidepressivo per non piombare nella derealizzazione totale. Almeno con me hanno la sensazione di stare insegnando.
Sono accusati di non saper rendere la materia stimolante.
Ora, alcune opere della Letteratura Italiana sono stimolanti, trip allucinatori fra i più potenti al mondo. Immaginate di essere dei pusher e di dover vendere della roba che fa viaggiare fra le galassie, e la vostra utenza vi dice: "Non la rendi stimolante, dacci prima una tazza di caffè".
Il nuovo insegnante di filosofia tiene lezioni che mi drogano e mi lasciano incantata per ore. Fa questo effetto soltanto a me; per gli altri non è stimolante.
Gli faccio leggere qualcosa di mio, una piccola satira della classe in forma di commedia.
Mi prende da parte dopo la lezione e fa un disegno alla lavagna. Un angolo retto. Sulla linea verticale diverse brevi stanghette la intersecano, equidistanti. Altrettante sulla linea orizzontale.
“Le società antiche erano verticali” dice. “Le persone stavano le une sopra le altre. Le società moderne sono orizzontali. Le persone stanno le une accanto alle altre. Tutte uguali. Tutte alla stezza altezza”.
Guardo quelle linee uguali nella forma, quelle che salgono e quelle che (mi sembra) restano ferme e stagnanti, tutte ridotte alla stessa altezza dall'orizzontalità.
Solo ora comprendo il significato di questa dimostrazione: allora non potevo: volevo salire, anzi volare.
Quello che tuttora non so è l'intenzione del mio professore. Voleva ammaestrarmi e correggermi o avvertirmi e prepararmi?

giovedì 4 agosto 2022

Iperwriters - Pensiero gioioso

Photo: Maksym Kaharlytsky on Unsplash


Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 3 - Pensierio gioioso

Venerdì, ore 13.
Ho sedici anni, e sto navigando alle medie superiori. Pessima navigazione: passare dalla periferiaccia al semicentro non è stato un guadagno. Niente più Rossana, e nessun ascensore sociale. Per temperamento, o forse per aver ereditato i geni recessivi dei miei avi possidenti terrieri, mi sono sempre trovata meglio con quelli nati nelle capanne degli schiavi che con quelli della classe media. Sono un'aristocratica.
Comunque, la mia scuola era una criptomonarchia retta da due contestatori sessantottini e da Gioia. Gioia non è una persona con una identità anagrafica (anche il nome è inventato), ma una creazione letteraria composta da più entità e da più incontri: non per questo meno reale.
Gioia è una ripetente alta, furba e belloccia. Sta con un tipo che tenta di fare il cantautore (ha scritto una canzone per lei) e ha già fatto sesso (con l'attuale fidanzato e con un ex), cosa che le conferisce un prestigio immenso. Ha lunghi capelli neri ma a volte una parrucca bionda, e porta una giacca di renna con frange, il massimo del trendy, allora.
Non si comprende (e neppure lei comprende) perché abbia continuato dopo la scuola dell'obbligo. Non fa assolutamente nulla, neppure ginnastica. Per lei Dante era una femminuccia svenevole che avrebbe dovuto scoparsi Beatrice, altro che angelicarla. Socrate e Platone sono due palline che fa rimbalzare nel divertimento generale. Op, Socrate. Op, Platone.
Gioia spesso mi bullizza, per esempio fingendo di accarezzarmi i capelli dopo aver ben unto le mani con la focaccia alla cipolla. Oppure mi provoca: “Chi credi di essere? Ti senti superiore a tutte noi.”
Superiore? Con i primi soldi mi sarei comprata una giacca di renna come la sua (senza frange però).
La studio senza sosta per carpire i segreti della sua popolarità. Riesco a ottenere soltanto la sua pietà. Quando passo un momento nero cerca di consolarmi: “Non dire che non hai nessun avvenire. Intanto, sai scrivere molto bene”.
“E a che mi servirà...?”
Non so dire altro in quel momento, ma oggi aggiungerei:
“... se il mondo sarà governato da persone come te?”

domenica 31 luglio 2022

Marilyn e Diana: due morti "accidentali"

Marilyn e i Kennedy, dipinto di Carlo Jacono (1998)


Ultimo appuntamento della stagione e doppio mistero, sul filo di due anniversari che ricorrono nelle prossime settimane. Il primo è quello della scomparsa di un mito di Hollywood: la trentaseienne Marilyn Monroe il 5 agosto 1962. Sessant'anni fa l'attrice fu trovata morta nella sua casa di Brentwood, Los Angeles, uccisa da un'overdose di sonnifero.
L'autopsia decretò un "probabile suicidio", anche se un'inchiesta successiva ammise una possibile overdose accidentale. Si sa che Marilyn - vittima di gravi traumi nell'infanzia - era in cura presso uno psichiatra, il dottor Ralph Greenson, che le prescriveva farmaci in quantità industriale. Aveva persino una domestica-infermiera, la signora Eunice Murray, che aveva il compito di somministrarle i medicinali, ma a volte Marilyn li prendeva anche per suo conto. Non è da escludere che si sia trattato di un tragico errore.
Senonché Marilyn era suo malgrado al centro di diversi intrighi, che hanno dato origine a mille ipotesi di complotto. Si sa che era sotto la sorveglianza dell'FBI, perché frequentava vari intellettuali (incluso il drammaturgo Arthur Miller, suo ex-marito), fra cui si sospettava ci fossero spie sovietiche. Era stata amante del presidente John Kennedy, che in quel momento era in pessimi rapporti con la CIA. Poi era stata amante del fratello Robert Kennedy, ministro della Giustizia, impegnato nella lotta al crimine organizzato. Però era stata anche amante di Frank Sinatra, di cui sono note le amicizie mafiose. Marilyn potrebbe essere stata vittima di una vendetta trasversale nei confronti dei Kennedy, che sarebbero stati entrambi assassinati negli anni successivi.
Ma anche a non voler essere complottisti, c'è una coincidenza sospetta: l'ultimo fidanzato di Marilyn, il regista messicano José Bolaños, era amico di Howard Hunt, l'agente della CIA di cui abbiamo parlato a proposito del caso Watergate; Hunt è sospettato anche di essere coinvolto nella morte del presidente Kennedy. A questo punto c'è da chiedersi se la morte di Marilyn Monroe sia stata davvero un suicidio o un'overdose accidentale.


Il secondo anniversario di cui parliamo oggi è tra un mese: venticinque anni dalla morte di Lady Diana Spencer, del suo fidanzato e del loro autista, il 31 agosto 1997 in un incidente a Parigi. Anche lei è scomparsa a soli trentasei anni, anche lei è al centro di ipotesi di complotto.
Dopo il divorzio dal principe Carlo era diventata un'importante figura mediatica, superando in popolarità la famiglia reale britannica. Aveva dato inizio a una campagna internazionale contro le mine antiuomo e sostenuto il Partito Laburista, che doveva in parte a lei la vittoria alle elezioni. Si era fidanzata con il produttore cinematografico Dodi al Fayed, figlio dell'egiziano Mohammed al Fayed - proprietario dei grandi magazzini Harrods a Londra dell'Hotel Ritz a Parigi - e nipote del celebre finanziere saudita Adnan Kashoggi. E oltretutto l'ex-marito, allora come oggi erede al trono d'Inghilterra, non poteva risposarsi con la fidanzata Camilla finché Lady Diana era viva. Sotto molti aspetti era una donna scomoda e in certi ambienti già a metà agosto correva la voce che sarebbe successo qualcosa entro la fine dell'estate.
E infatti "qualcosa" è successo il 31 agosto, anche se all'epoca non si poteva parlare di "complotto". I media accusavano prima i paparazzi che correvano dietro a Lady Diana - ma che lei aveva imparato a gestire benissimo - e poi l'autista Henri Paul che non era affatto ubriaco come si sosteneva all'epoca, come avrebbero dimostrato le riprese dalle videocamere di sicurezza del Ritz di Parigi. Io invece scoprii uno dei possibili metodi per sabotare l'automobile e causare l'incidente, e ci si scrissi sopra un romanzo intitolato "Ladykill-Alla ricerca della verità sulla morte di Lady D", che si trova su Amazon nella nuova edizione di Oakmond Publishing dello scorso anno. Dopo venticinque anni è ancora considerato la ricostruzione più plausibile di un ipotetico complotto e punta il dito su un gruppo clandestino legato ai servizi segreti di Londra, all'epoca già sospettato di vari omicidi. Posso dire che all'epoca è stato molto apprezzato da Corrado Augias e ha ancora oggi lettrici e lettori.
D'altra parte, come dice lo studioso del complottismo Bob Brotherton, autore del saggio "Suspicious Minds", è sbagliato credere ciecamente a qualsiasi complotto, ma è altrettanto sbagliato escluderli a priori, perché talvolta c'è davvero qualcuno che insabbia o disinforma.





domenica 24 luglio 2022

I delitti di rue Lasueur



Ottant'anni fa, nella Parigi occupata dai nazisti, comincia la propria attività criminale un personaggio sconcertante che nell'immediato dopoguerra la stampa francese soprannominerà "dottor Satana". Ma nel 1942 il dottor Marcel Petiot, sposato e con un figlio, gode di grande stima per la sua attività di volontariato: viene considerato il "medico dei poveri". In realtà vive una doppia vita, se non tripla, che si riflette nelle numerose false identità che adotta in quel periodo, diventando di volta in volta un presunto eroe della Resistenza e uno spietato serial killer a scopo di lucro, che agisce mimetizzato dietro le grandi tragedie di quel periodo: la guerra e i campi di sterminio nazisti.
Che nel dottor Petiot ci sia qualcosa che non torna, in realtà è emerso in tempi non sospetti: nel 1936 fu sorpreso a rubare in una libreria e confessò di essere cleptomane. Dopo sei mesi in una casa di cura gli venne diagnosticato un trauma psichico riportato quando era rimasto ferito durante la Prima guerra mondiale. Dopodiché Petiot è tornato a fare il dottore, comprando una casa in rue Lasueur 21 che doveva servirgli come secondo studio medico, ma verrà usata per tutt'altro.
Nel 1942 si procura un paio di complici ignari, presentandosi con il nome di battaglia di "dottor Eugène", leader di un inesistente gruppo di partigiani chiamato Fly-Tox (una marca di insetticida). Poiché molti ebrei cercano di lasciare Parigi per sfuggire alle deportazioni, Petiot decide di sfruttare l'orrida situazione e promette dietro lauto compenso di farli fuggire all'estero con i loro averi, dando loro appuntamento in rue Lasueur 21. In realtà i fuggiaschi entrano nella casa e spariscono per sempre, lasciando dietro di loro denaro, gioielli e qualsiasi altra cosa possano trasportare.


Nel 1943 tuttavia la Gestapo si convince che un gruppo della Resistenza stia davvero portando in salvo le vittime della persecuzione nazista, perciò costringe un commerciante ebreo a fare da esca e da spia, mandandolo lungo il supposto canale di fuga. Ma anche lui sparisce nel nulla. Intanto però la Gestapo identifica Petiot, lo arresta e lo tortura perché faccia i nomi dei membri del gruppo Fly-Tox, che in verità non è mai esistito. Lui non parla e alla fine viene rilasciato. I suoi compagni di prigonia lo considerano un eroe, perché non ha tradito nessuno. Ma solo perché non c'era nessuno da tradire, in un'orrida truffa che si concludeva con la morte delle vittime.
Nessuno finora ha scoperto il segreto della casa degli orrori e Petiot se la caverebbe, se l'11 marzo 1944, nel tentativo di liberarsi dei cadaveri accumulati, non ingolfasse la caldaia. Dal camino esce fumo nero e maleodorante. I vicini chiamano pompieri e polizia, che trovano i resti smembrati di una decina tra uomini e donne, e una montagna di borse e valigie dei fuggiaschi uccisi nella casa (v. foto sotto). Petiot riesce a far pedere le proprie tracce e assume le mentite spoglie di un partigiano, il "capitano Valery". La farebbe di nuovo franca, se non fosse riconosciuto e arrestato dopo la liberazione di Parigi da parte degli Alleati.
Al clamoroso processo, nel 1946, Petiot dichiara di avere ucciso sessantatré persone, ma tutti nemici o traditori della Francia, e sempre combattendo al servizio della Resistenza, anche se non ci sono prove che ne abbia fatto parte all'epoca dei delitti.


Rimangono senza spiegazione a cosa servisse nella casa di rue Lasueur una stanza triangolare con uno spioncino in una parete e come le vittime fossero assassinate. Al processo c'è persino un momento di pura fantascienza, quando uno dei suoi ignari complici, ancora convinto che Petiot fosse un partigiano, testimonia di averlo visto uccidere un soldato tedesco servendosi di una pistola a raggi!
Ma alla fine il "dottor Satana" viene riconosciuto colpevole di ventisette omicidi, condannato a morte e ghigliottinato il 25 maggio 1946.
Quanto ai misteri irrisolti del caso, si può solo fare appello alla fantasia, cosa che ho fatto io nel mio nuovo romanzo della serie "Martin Mystère" appena uscito in edicola da Sergio Bonelli Editore, "La farfalla dalle ali di ossidiana", in cui il detective dell'impossibile segue la pista dell'arma a raggi attribuita al dottor Petiot.



Il prossimo appuntamento con "La Boutique del Mistero" - ultimo della stagione - è domenica 31 luglio, all'interno del programma di Lukino su Radio Number One, in due parti alle 15.15 e alle 16.15.

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...