giovedì 29 aprile 2021

Borderfiction Edizioni: "Chi lotta coi mostri" di Giancarlo Narciso


CHI LOTTA COI MOSTRI
Quattro romanzi brevi di Giancarlo Narciso

Dagli anni Sessanta a oggi, quattro storie di spionaggio da un maestro del noir e della spy story made in Italy. 1962: l'oscuro connubio tra un nazista, la Stasi e un gruppo terrorista a Bolzano mobilita l'agente britannico Nigel Fleming e il collega italiano Dino Crocetti. 1974: a Berlino Est l’agente del Reparto R Luca Manfredi deve far passare il posto di frontiera di Friedrichstraße a una talpa del SID. 2002: chi è veramente il colombiano arrestato a Timor Est e perché il caso viene affidato a Oliver McKeown, nome in codice Banshee? 2015: a Pnom Pehn, Banshee, deve recuperare un disertore nordcoreano che si offre al JID di Singapore. Le nuove tendenze della narrativa thriller italiana coniugate con una spiccata attenzione alla realtà geopolitica.

In volume cartaceo a 9.00€

Giancarlo Narciso, milanese, dopo avere viaggiato dall'America Latina all'Estremo Oriente, ha messo a frutto le sue esperienze diventando uno dei maggiori autori italiani di thriller e avventura, vincendo il Premio Alberto Tedeschi 1998 de Il Giallo Mondadori e il Premio Scerbanenco 2006.



venerdì 16 aprile 2021

Iperwriters - I loghi Iperwriters

Foto: Pat Whelen from Unsplash


Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13. La nave Iperwriters vi parla dei nostri loghi di collana.


Unforgettable
Il logo è un'elaborazione di Angel standing in the sun, di William Turner. William Turner è Il pittore del sole, e le sue ultime parole prima di morire sono state "Il sole è Dio". Consapevolmente o no, questo artista era legato alla tradizione solare.
Un angelo è in piedi sul sole senza bruciare, essendo di natura spirituale. Ci sembra l'mmagine migliore per rappresentare quello che non deve essere dimenticato. Ma l'angelo, anche se in piedi sul sole, non ha visibilità, è ignorato e
coperto del colore dominante oggi: il grigio.
Non dubitiamo che tornerà raggiante, in un futuro imprecisato.

Foto free di Golnar Sabzpoush Rashidi da Pexels

History & Lies
Non sappiamo in quale piazza sorga questa statua; è elevata su un pilastro altissimo, e lo slancio della figura suggerisce ulteriore elevazione. Ci appare come una vittoria alata che porta una corona. Lo spirito del mondo antico che sussurra parole ora in disuso: giustizia, onore, lealtà, coraggio, gloria, virtù (che non ha niente a che fare con l'essere “virtuosi”). Ci sembra l'immagine rappresentativa del nostro atteggiamento verso la Storia, che è archeologico senza pregiudizi moderni e orientato al rispetto verso le civiltà antiche e a una sorta di mimesi (per quanto è possibile) dello stato di coscienza di chi ha vissuto prima di noi.
Se avete buoni romanzi storici che rispettino questa linea di condotta, saremo lieti di pubblicarli.

Foto free di Matheus Bertelli da Pexels

Almost exist
Se la vittoria alata è lo spirito della Storia, questo cellulare è il totem dell'era contemporanea. Un telefono sul cui display scorre una strada trafficata. La strada prosegue, senza soluzione di continuità, in una strada reale. Brillante idea quella del fotografo. La tecnologia virtuale è saldata alla realtà, noi saldati ai nostri telefoni.
L'immagine ci ha subito incantati, e ci sembra la rappresentazione sintetica della vita in questo tempo. Il logo degli scrittori nostri coevi.
Presto vi porteremo altre osservazioni sul significato e la finalità delle nostre collane.
Au revoir nei container.







lunedì 12 aprile 2021

Diva (1981)

 

Riscoperta di Andrea Carlo Cappi
(su ispirazione di Stefano Di Marino)

Più o meno quarant'anni fa - l'11 marzo 1981, secondo IMDB - usciva al cinema il thriller francese Diva del regista Jean-Jacques Beineix. "Hitchcockland", commentava la rivista Time circa un anno dopo, quando il film usciva negli USA. Soprattutto, Diva fu la pellicola che - ancor prima di Blade Runner - definì ciò che sarebbe stato il cinema degli anni Ottanta. Un capolavoro senza interpreti famosi che condensava un casting brillante, una colonna sonora innovativa (di Vladimir Cosma, comprendente una famosa aria da La Wally di Alfredo Catalani), scenografie creative, una splendida fotografia in esterni a Parigi e in Normandia, e una trama perfetta da un romanzo del 1979 di Delacorta, adattato de Beineix e da Jean Van Hamme, lo scrittore e fumettista belga.

il romanzo originale è il secondo di una serie del maestro zen svizzero Daniel Odier, pubblicato sotto lo pseudonimo Delacorta. I suoi personaggi sono Serge Gorodish, ex-pianista e maestro dell'inganno, e la sua amica minorenne Alba, con cui ha una relazione non sessuale. Le loro versioni cinematografiche sono un po' più surreali: Alba (Thuy Ann Luu) è una ladruncola vietnamita e una modella in una Parigi multietnica, mentre nulla viene rivelato su Gorodish (Richard Bohringer), se non la sua cultura musicale, la sua educazione classica ("Abyssus abyssum invocat", cita in latino dalla Bibbia) e il suo background zen, rivelato nella scena dello "zen dans l'art de la tartine".
Nel film scopriamo poi che Gorodish sa muoversi nel pericoloso milieu parigino. Lo vediamo diventare una figura mitica, un angelo custode al volante di una Traction Avant, l'auto di guardie e ladri.
C'è davvero qualcosa dei film di Hitchcock nei lati oscuri del protagonista Jules (Frédéric Andréi), un giovane postino che commette due reati per amore: prima registra un bootleg di un concerto della sua diva prediletta, la soprano afro-americana Cynthia Hawkins (la vera cantante d'opera, oltre che attrice di rara bellezza, Whilelmenia Wiggins Fernandez), che si è sempre rifiutata di incidere la propria voce su disco; poi Jules ne ruba il vestito dal camerino dopo il concerto, lo fa indossare a una prostituta nera raccolta in una strada e infine lo restituisce fresco di lavanderia alla sua legittima proprietaria.
Ma due loschi discografici di Taiwan hanno scoperto l'esistenza del bootleg e intendono rubarlo, al fine di ricattare la cantante e costringerla a incidere in studio con loro, altrimenti metteranno in commercio la registrazione.
Sarebbe già abbastanza per un thriller, ma un'altra trama si intreccia con la prima.: Nadia Kalanski (Chantal Deruaz), ex-amante del corrotto ispettore Jean Saporta (Jacques Fabbri), ha registrato su nastro tutto ciò che sa del giro di droga e prostituzione gestito dall'importante poliziotto. Prima di essere uccisa dai due killer della gang - L'Antillais (Gérard Darmon, Trinidad nella versione italiana) e l'antisociale Le Curé (Dominque Pinon, Prelato nella versione italiana), maestro nel lancio del punteruolo - Nadia lascia cadere la cassetta compromettente nella tasca dello scooter di un postino. Sì, lo stesso postino.
Il giovane Jules diviene il bersaglio dei discografici di Taiwane, degli spietati killer e anche degli sbirri, compresa la poliziotta Paula (Anny Romand). Dopo essere stato inseguito nelle strade e nel metrò di Parigi, per poco non viene ucciso da Le Curé. La storia potrebbe finire molto male se non intervenisse Gorodish in veste di deus ex machina, con l'abilità di Parker in un romanzo di Richard Stark.

Come ha segnalato di recente lo scrittore ed esperto di cinema Stefano Di Marino in un suo post su Facebook dedicato al film, entrambe le protagoniste femminili, Alba e Cynthia, sono non-bianche, molto prima che si parlasse di inclusione e diversità, rendendo Diva ben più moderno rispetto alla sua epoca. E, a riprova della perfezione del casting, menzionerò la breve scena della fuga di Nadia: la sua fugace espressione appena vede i due killer che la braccano racconta in un attimo una lunga storia traumatica di violenza e prigionia.
Dopo quarant'anni, Diva rimane una lezione imperdibile di cinema europulp e di tecniche di narrazione.

venerdì 2 aprile 2021

Iperwriters - Mercato e favole

Photo by Will Truettner on Unsplash

IperWriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13*. La nave Iperwriters non porta sfortuna, ma oggi vogliamo parlare di quel Venerdì 13 globalizzato e dissennato che è il nostro tempo.
Abbiamo visto che in epoche storiche più antiche un artista era immaginifico perché in lui/lei si concentrava tutta l'esperienza, il dolore, la speranza, la tensione di un'intera comunità. Il risultato era di una potenza terrificante: e si creava il mito. 
Oggi, al contrario: negato il mito, l'artista non parla per tutti ma è di fatto tutti. Ha l'obbligo di rappresentare una creatura proteiforme, una specie di prisma riflettente l'idea di un pubblico sovrano. Al minimo errore si è eliminati. Si è eliminati anche se si fa la cosa giusta. Comunque si è sempre sostituibili.
Ma, per citare Gabriele D'Annunzio, la favola bella che ieri ci illudeva oggi ci illude ancora: la favola americana del successo da milioni di copie vendute.
All'inizio degli anni '90 ero convinta che il solo modo di esistere fosse il lavoro professionale, via maestra di vasta distribuzione e riconoscimento. 
Stavo scalando la montagna dell'editoria anni Ottanta. Alta, crudele, rischiosa, dalle cime circondate da nubi impenetrabili che nascondevano, probabilmente, pentoloni d'olio bollente, balestre e catapulte. 
Mi apparivano patetici quelli che “io voglio restare fuori del mercato”. Ridicoli nella loro “purezza” di spregiatori dei generi (loro erano “artisti” e io un'artigiana), irritanti nella loro spocchia.
Ho scalato la montagna. La lotta e la fatica ci sono state, e ho preso olio bollente e pietrate. Ma, quando sono arrivata in cima, i tarli epocali avevano divorato la montagna dal basso, e così mi sono ritrovata a terra.
Intanto, mentre passavo gli anni su una scala mobile in discesa, il mercato faceva chirurgia estetica della creatività per renderla fruibile... non a tutti, ma all'idea che si ha di “tutti”. Il carisma artistico si restringeva come un maglione vecchio, veniva frantumato e ridistribuito in pezzi sempre più piccoli, legato a dinamiche sempre più veloci che lo esaurivano a breve termine come se avesse un timer. 
Ma la favola bella che ieri ci illuse, che oggi ci illude, agisce ancora in noi e ci spinge. E così, paradossalmente, facciamo rivivere il mito del grande scrittore. 
Se anche a voi pare di esservi arrampicati sul e per nulla, salite sulla nave.


Scopri le novità di IperWriters


Claudia Salvatori IL CAVALIERE D'ISLANDA Vol.I
Kveld Úlfr. Il suo nome significa Lupo della Sera. Figlio di un prete cristiano e di una donna che discende dagli eroi delle antiche saghe vichinghe. Disconosciuto da suo padre, è costretto a lasciare la sua terra e a vagabondare per il mondo. Arriva alla corte di re Riccardo Cuor di Leone che lo fa cavaliere. Una profezia gli ha annunciato che dovrà servire il papa della Vera Fede. Ma qual è la vera fede? Quella di suo padre e della Chiesa di Roma o quella dei "buoni uomini" e "buone donne", i catari, contro i quali papa Innocenzo III ha indetto una crociata? Il cavaliere venuto dall'ultima terra del mondo dovrà fare la sua scelta, fra avventure, pericoli, intrighi, battaglie e tradimenti. In appendice liriche di poetesse del suo tempo.


Kveld il vichingo è l'ultimo cavaliere in un mondo in cui la cavalleria sta morendo. Lasciata la Montagna Nera e la bellissima castellana Dama Loba, va incontro al destino che gli è stato profetizzato e diventa il protettore del Perfetto fra i Perfetti, il papa cataro. Partecipa allo scontro finale, la battaglia che decide il corso della Storia e il futuro della cristianità. E gli viene rivelato uno sconvolgente segreto. Il cavaliere venuto dall'ultima terra del mondo dovrà ripartire ancora, per cercare in luogo in cui la vita sia possibile.
Il volume è impreziosito da liriche di trovatrici d'epoca
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Tre sorelle. Una madre frivola. Un padre in bancarotta. Un fratello con la dipendenza dal gioco d'azzardo. E il lusso, il vero grande protagonista di questa storia. Il lusso a cui non si sa, non si vuole rinunciare. Il lusso per cui, allora come oggi, gli esseri umani fanno qualunque cosa. Proprio qualunque cosa.
Regina di Luanto, "La scrittrice più audace, più avanzata, più arrischiata che abbia avuto l'Italia nell'ultimo ventennio". (La morte di una nota scrittrice in il Nuovo Giornale, IX, 13 settembre 1914). Questo romanzo appare per la prima volta digitalizzato in Italia per Iperwriters.


Claudia Salvatori IL MAGO E L'IMPERATRICE
Valeria Messalina, discendente dalla stirpe degli antichi re di Roma. La sua storia è stata raccontata da chi ha vinto. Pertanto, nell'immaginario collettivo, una satira di Giovenale scritta ottanta anni dopo la sua morte è diventata realtà. Ma chi era veramente Messalina? Venerata durante la sua breve vita come una vestale, i rari indizi storici che restano raccontano la storia di un colpo di stato fallito a cui avevano partecipato eminenti personaggi del tempo. Dalla prefazione di Francesca Galleano: "Claudia Salvatori si immerge nell'epoca appropriandosi del linguaggio degli autori latini, trasportandoci con la sua macchina del tempo."


Vario Avito Bassiano, imperatore di Roma dal 218 al 222 dC, Gran Sacerdote del Deus Sol Invictus, moglie dell'auriga Ierocle, marito della vestale Aquilia Severa, assassinato a diciott'anni. Eliogabalo, come è stato chiamato: il personaggio storico più stupefacente, affascinante e ineffabile di tutti i tempi. Un giovane dio che governa un mondo al crepuscolo, e vive lo stesso dramma di un ragazzo di oggi affamato di libertà. Dalla prefazione di Patrizia Debicke: "... un romanzo intrigante. Forse idealista? Sicuramente ispirato da quella che avrebbe potuto e dovuto essere la personalità del suo protagonista".


*Nota del marconista: mi scuso del ritardo nella diffusione del messaggio, ma la navigazione si sta normalizzando solo ora, dopo i noti problemi dovuti alla chiusura del Canale di Suez.

venerdì 19 marzo 2021

Iperwriters - Genio e regolatezza

Photo by Fabius Leibrock on Unsplash

IperWriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13. Non ci sono pazzi, a bordo della nave Iperwriters. 
Abbiamo visto dunque che gli artisti potevano essere sani e felici, in altri tempi e culture, per nulla depressi e più che equilibrati: integrati nel sociale al livello più alto della scala gerarchica, quale che fosse.
Se erano pazzi, lo erano per casi e sventure personali, e non per adeguarsi all'equazione genio = sregolatezza. 
Con l'avvento della rivoluzione industriale la nuova casta mercantile al potere ha gradualmente smesso di pagare i suoi artisti. La borghesia ha deciso che la poesia era inutile. Da cui la mendicità, la follia, la trasgressione, le droghe, lo sprofondamento nelle regioni infernali: il maledettismo dell'artista, rivendicato poi romanticamente nella forma del titanismo. 
Di fatto, fino alla legge sul diritto d'autore (il riconoscimento "progressista" del diritto a essere pagati) molti artisti hanno sofferto la dannazione dell'esilio dal tessuto sociale. Pensiamo ai suicidati Van Gogh e Salgari, o a Bizet letteralmente morto di fame e di freddo (oggi sarebbe milionario).
Durante il secolo scorso il mondo si è rapidissimamente trasformato. Agli scrittori si sono sostituiti i manieristi delle avanguardie letterarie e/o dei generi. Ai poeti si sono sostituiti i cantanti e ai sacerdoti gli ultimi idoli rock. Gli artisti sono diventati consapevoli di vendere i sogni che il pubblico borghese non osava vivere: libertà, pansessualità, scioglimento da convenzioni e regole, spiritualità.
Oggi assistiamo a un'ulteriore evoluzione. Non è più questione di maledettismo perché siamo tutti maledetti, famosi per (come ha detto Andy Warhol?) cinque o dieci minuti ciascuno. Siamo tutti artisti, e siamo tutti qui, nel Web, nel televisore, sui social network, a girare centrifugati. Affogati come un gatto capitato a dormire in una lavatrice.
L'artista può essere normale, dal momento che è una cellula uguale a ogni altra del tessuto sociale. Essendo tutti noi creativi, la singola prestazione non vale più nulla. Ci viene chiesto di lavorare “per esprimerci”, nel tempo libero. Alcuni vengono istituzionalizzati e durano un po' di più, perché possiamo pensare che la nostra inesistenza sia una nostra colpa. 
Se avete capito tutto questo, salite sulla nave.





giovedì 11 marzo 2021

Premio Torre Crawford 2021

Torna il premio letterario di San Nicola Arcella, intitolato a Francis Marion Crawford. Lo scrittore americano che scelse l'Italia come patria di adozione è oggi ricordato soprattutto per il versante gotico della sua produzione, ma la sua opera non si limitava a un unico genere. Ecco perché, nella seconda edizione, il tema proposto ai concorrenti può essere interpretato sia in senso letterale, sia in senso metaforico. L'unica richiesta, per entrare nel novero degli autori scelti per l'antologia del 2021, è la qualità dei racconti e l'aderenza al concetto di quest'anno: "Innamorarsi di un fantasma".

Ospitato nel 2020 sulle pagine di Borderfiction Zone, ora il Premio Torre Crawford ha un suo sito ufficiale in cui è possibile trovare il testo completo del bando, da leggere beninteso con attenzione prima di partecipare.

Il Premio Torre Crawford in Borderfiction Zone

L'antologia dell'edizione 2020, edita da Oakmond Publishing

venerdì 5 marzo 2021

Iperwriters - DNA d'artista


Photo by Guillaume Bolduc on Unsplash

IperWriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Spiegare come, quando e perché è stato voluto il crollo del valore di mercato della cultura umanistica sarebbe un’impresa al di là delle mie forze e capacità. 
Ma c’è una domanda che continua a ossessionarmi: che cosa ci spinge ancora verso la scrittura, come se fosse carica di un carisma che ormai non corrisponde più di fatto a nulla di vissuto? In altre parole, perché ci piace essere scrittori, ci drappeggiamo nelle nostre identità di scrittori, come se fossimo ancora vati, santi, eroi e naviganti (delle terre immaginate)?
La ricerca storica mi ha fornito forse una spiegazione. Nelle epoche passate gli artisti sono stati onorati, protetti, premiati. 
Nell’antica Roma un professore di grammatica valeva una somma che attualmente gira solo nel calciomercato. E così via: più si va indietro nella storia, e più il lavoro intellettuale/artistico sembra essere stato quotato. Fino all’antico Egitto, in cui l'artista era il secondo del regno immediatamente dopo il re. 
I nostri antenati hanno sperimentato una condizione in cui alla felicità creativa potevano essere aggiunti ricchezza e beni materiali, posizione sociale, il rispetto e l’ammirazione del resto della comunità, e perfino una forma di venerazione.
Allora mi chiedo se non è possibile che tutto questo si sia trasmesso stabilmente nel DNA umano, e se non sia diventato una forza agente nella coscienza collettiva.
Una forza che ci spinge ancora a creare, fra disinteressata ricerca della bellezza e patetica velleità, fra candore e narcisismo, fra legittima lotta per l’amore e la gloria e odioso culto dell’ego autoreferenziale.
Altrimenti non si spiegherebbe come, in un simile tempo di decadenza che dopo averci polverizzati impasta continuamente la nostra polvere, ci sentiamo spinti in così tanti verso un mestiere sottopagato, non istituzionalizzato, non socializzabile, affidato al caso e alla fortuna, che non ha nessun avvenire e comporta troppi rischi, e infine rende invisibili.
E’ bello pensare che a Dante, ad Ariosto, a Leonardo, a Michelangelo sia stato dato di che vivere molto dignitosamente. Chi darebbe oggi ospitalità a un poeta, anche solo in un garage o in una cantina?
Se non trovate una cantina, ci sono sempre i nostri container.





Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...