martedì 19 dicembre 2023

Spy Game incontra Enrico Luceri - 2

E. Luceri al Festival Torre Crawford 2022 (foto: A. Martinelli)


Su Borderfiction Zone proseguiamo l'intervista a Enrico Luceri,  il maestro del giallo da poco entrato nella collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda con il suo romanzo in due parti Caccia alla strega, (la prima parte il 12 dicembre 2023, la seconda parte il 16 gennaio 2024). Ricordiamo intanto alcuni dei suoi titoli più recenti, come Il giorno muore lentamente e Il tempo corre piano, pubblicati ne Il Giallo Mondadori e ora disponibili in ebook, e La stanza del silenzio, edito da Fratelli Frilli. Nel novembre 2023 è uscito inoltre, sempre da Delos, Il primo cerchio della paura, scritto a quattro mani con Emanuela Ionta.

Enrico Luceri, il silenzio delle ombre

SG: Cosa ti ha portato a scrivere gialli?

Si può dire che io abbia scritto sempre. Però non me ne accorgevo. Sono stato un osservatore attento del prossimo fino dalla mia infanzia, e durante la mia adolescenza e giovinezza. Mi sentivo attratto, interessato, dal comportamento degli adulti e dei miei coetanei. Ma non di tutti. Solo di coloro che volevano apparire forti, sicuri di sé, spavaldi, affascinanti.
Il mio carattere invece è stato sempre pieno di dubbi, scettico, diffidente, laconico e riservato. Credo che mi sentissi incuriosito da costoro proprio perché così diversi da me e in fondo, in maniera inconsapevole, registravo ogni loro comportamento perché mi sembrava estraneo, ostile, mi colpiva e feriva. Il comportamento di personalità sbrigative, efficienti, determinate che mi facevano sentire inadeguato, trascurato, ignorato, a volte perfino disprezzato. Che mi facevano soffrire.
Però sono riuscito sempre a nascondere la mia sofferenza, per evitare di dare soddisfazione al prossimo. Ad abbassare le tapparelle, a nascondere l’interno della casa. E, tuttavia, ricordavo. A distanza di decenni, ho capito che i miei occhi sono stati una macchina fotografica, le mie orecchie un registratore, la mia memoria un archivio che ha custodito situazioni dolorose.
Desiderio nascosto: spaventarli! Far crollare le loro certezze, i loro solidi e banali modi di vivere, la spavalderia di facciata. Intuivo in loro delle crepe, sottili e quasi invisibili, e ho trovato l’espediente per allargarle attraverso le mie storie, dove una minaccia ambigua è sufficiente a far vacillare e poi a frantumare personalità forti in apparenza e deboli nella sostanza.
Ancora oggi, quando incontro qualcuno che dimostra verso di me un comportamento sbrigativo, disinteressato, indifferente, provo le stesse sensazioni della mia infanzia e so che presto la mia immaginazione sarà ispirata da una sofferenza antica e nascerà un nuovo romanzo.



SG: Come amico di Stefano Di Marino, l'ideatore della collana Spy Game che ci ha lasciati nel 2021, vuoi darci un tuo ricordo?

Quando Stefano Di Marino scrisse un articolo in occasione della prematura scomparsa di Andrea G. Pinketts, qualche giorno prima di Natale del 2018, lo intitolò non a caso “Senza retorica”. Io vorrei a mia volta ricordare Stefano proprio così, senza quella retorica che lui stesso rifiutava.
Custodisco quindi con discrezione e riservatezza dentro la mia memoria quell’impasto di rimpianto, malinconia, sofferenza e rimorso, che sempre ci tormenta quando un amico si toglie la vita in circostanze tanto drammatiche e dolorose che dimostrano una sofferenza insopportabile.
Invece voglio ricordare Stefano attraverso il suo universo narrativo, quell’avventura allo stato pure che attraversa tanti generi letterari, dalla spy-story al giallo, dal thriller all’horror, al western (e potrei continuare) che lui ha raccontato per anni, con competenza, entusiasmo, impegno e fertilità d’immaginazione. C’era e c’è tuttora un motivo concreto per la costante affezione e fedeltà dei lettori alle sue storie: perché Stefano era uno di quegli autori veri che sapeva scavare un varco fra la realtà quotidiana che viviamo e quella virtuale che leggiamo. E sapeva benissimo come quest’ultima sia assai più gratificante della prima, perché in essa avviene solo quello che decidiamo noi. Nella vita, spesso, troppo spesso a volte, avviene quello che altri decidono per noi. Questo, credo, è il rapporto più bello che si stabilisce fra l’autore e i suoi lettori: lui frantuma la parete fra realtà e fantasia, i lettori attraversano quel varco e vivono ciò che sognano.
Parlo solo di Stefano come narratore, evitando di rammentare i nostri incontri, le chiacchierate, le telefonate, le partecipazioni alle manifestazioni, i messaggi, perché voglio portare la mia testimonianza senza invadenza e con quella discrezione e riservatezza che ci univa.
Solo tre ricordi desidero condividere: il suo incoraggiamento pubblico quando un mio romanzo vinse nel 2008 il Premio Tedeschi; la sua presenza, inaspettata e gradita, quando fui invitato per la prima volta a Milano, a Bordefiction, da Andrea Carlo Cappi nel 2012, e furono loro due a presentare un mio romanzo; la nostra ultima telefonata, una settimana prima di quel brutto giorno di agosto, e il messaggio che mi scrisse subito dopo, e ho conservato.
Una certezza mi consola, solo in parte naturalmente: Stefano è riuscito a rendere lavoro una passione, a vivere come desiderava, certamente confrontandosi con le difficoltà e gli ostacoli del mondo dell’editoria che potevano affliggere anche un autore popolare come lui. Pensare a lui, a Stefano Di Marino e al suo alter ego Stephen Gunn, mi fa tornare in mente una frase che pronunciò il regista John Huston durante la sua orazione funebre per Humphrey Bogart: “La sua esistenza non fu lunga se misurata in anni, ma fu ricca e profonda.”
Credo che il modo migliore per dimostrare quanto ci manca Stefano sia continuare la sua opera e scavare sempre nuovi varchi dove la realtà possa tramutarsi in fantasia.



SG: Ora che sei entrato ufficialmente nel Grande Gioco, pensi di scrivere ancora spy story?

Certamente, sono già la lavoro su un nuovo romanzo per la collana Spy Game di Delos. Vienna, autunno 1948: durante le riprese del film Il terzo uomo, lo scrittore inglese Graham Greene si trova coinvolto in un vero caso di spionaggio. Greene riceve la visita di un sedicente giornalista inglese di Life, Nigel (in realtà è un agente del MI6) che vuole intervistarlo riguardo il film. Greene lo accoglie nella sua stanza all’Hotel Sacher. Qui scopre la reale identità del suo ospite, che gli racconta una storia singolare.
Quando Rudolf Hess volò in Gran Bretagna nel 1941, l’esoterista Alastair Crowley offrì i suoi servigi al governo per aiutarlo a interrogare il gerarca nazista, ma poi non se ne fece nulla. Una storia singolare che accadde davvero. Ho immaginato così un angolo buio e chi o cosa nasconda. Nel novembre del 1948, Churchill e Crowley ebbero un colloquio indiretto su un argomento in apparenza balzano ma che potrebbe rivelarsi sorprendentemente utile. E lo statista inglese ha inoltrato una informazione riservata al MI6, che a sua volta ha inviato Nigel a Vienna.
Da qui inizia una vicenda dove servizi russi e inglesi, borghesi austriaci decaduti, scienziati tedeschi a conoscenza di segreti militari, femmes fatales e avventurieri d’ogni genere celano obiettivi diversi da quelli apparenti e sono pronti ad allearsi e tradirsi con la medesima disinvoltura.

SG: Non vediamo l'ora di leggerlo. Un'ultima curiosità: è vero che sei stato soprannominato Fu Manchu?

Sì, è stata un’intuizione dei miei amici Giulio Leoni e Massimo Pietroselli. Ambedue sostengono di immaginarmi nelle vesti del crudele e astuto genio del male creato da Sax Rohmer. Nelle vesti, nel vero senso del termine! Cioè mi vedono vestito con una tunica, le scarpette con la fibbia, l’indispensabile codino e gli occhi ridotti a due fessure, che stringo fra le dita di una mano il manico di tazza colma di una raffinata miscela di tè mentre con l’altra mano aziono un complicato e doloroso strumento di tortura che tormenta una mia vittima. Una vittima punita per una colpa gravissima. Per esempio, aver criticato un mio romanzo, o averne ignorato un altro.
Fu Manchu/Enrico apprezza con uguale piacere l’aroma del tè e i lamenti del malcapitato. Qui finisce la sarcastica intuizione dei miei amici, che mi conoscono bene e sanno che sopporto in silenzio le critiche ma fatico a dimenticarle. Ovviamente, spero sia inutile precisarlo, io non commetterei azioni criminose di questo genere. In momenti simili, semmai, sorseggerei solo un vino della mia collezione!




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