Recensione di Andrea Carlo Cappi
Aquaman
segna un punto a favore della DC. Non perché sia un prodotto particolarmente originale, ma – al contrario – perché
riunisce in un unico film una quantità così esagerata di
elementi da diventare una Las Vegas di avventure sopra e sotto i
mari: fantasy e technothriller, mitologia da peplum e fumetto, Jules
Verne e Carlo Collodi (entrambi citati esplicitamente), Pierre Benoit e
(almeno per me) Totò sceicco, fantascienza e avventura
classica... senza contare alcuni elementi ormai irrinunciabili nella
grammatica del film di supereroi, dagli elaborati scenari fantastici
al ritrovamento di genitori perduti (con tanto di star ringiovanita
al computer per le sequenze in flashback). E, per gli estimatori del
genere, persino un kaiju che non sfigurerebbe in Pacific
Rim (doppiato nella versione originale nientemeno che da Julie
Andrews, altro che ritorno di Mary Poppins).
Una nota
storica: il personaggio di Aquaman è stato creato nel 1941 da
Paul Norris e Mort Wesinger, ma non è il primo eroe atlantideo della cultura di massa, in quanto segue di due anni Namor alias Sub-Mariner,
ideato nel 1939 da Bill Everett per la Timely Comics, antesignana
della Marvel. Dopo di loro sarebbero venute altre serie su eroi-mutanti degli
oceani, compresi Mar e il suo delfino dell'italiana Edifumetto nel 1974 e il televisivo L'uomo
di Atlantide con Patrick Duffy del 1977-78.
È
più che evidente che la storica competizione tra le due grandi
case editrici fumettistiche statunitensi – la Marvel e la DC Comics
– sia oggi passata dalla carta stampata allo schermo. Forse in tv
ad avere più successo sono le serie derivate dalla DC, quelle
del cosiddetto Arrowverse, mentre al cinema domina inequivocabilmente
la Marvel, che nel 2018 ha raggiunto l'apice con Infinity War (benché il capolavoro assoluto sia arrivato nel 2017 con
Logan, appartenente al franchise Marvel della 20th
Century Fox).
I film del DC Extended Universe basati sui grandi
team-up (Batman vs Superman, Justice League) hanno
avuto genesi contrastate e risultati inferiori al previsto al botteghino; la
pellicola più riuscita, Suicide Squad, è quella
che al grande pubblico è piaciuta di meno, forse perché
più disobbediente ai canoni abituali; il successo ha arriso
invece a Wonder Woman e, stando ai primi risultati, a questo
nuovo Aquaman.
Come al
solito, la riuscita di un supereroe dipende dall'interprete: anche se
per nulla somigliante all'iconografia tradizionale dei fumetti in cui Aquaman ha i capelli biondissimi,
l'hawaiiano Jason Momoa – già buon erede di Schwarzenegger
nel Conan del 2011 – fa del personaggio un simpatico
cialtrone che incanta il pubblico femminile, come già si
poteva intuire dalle sue apparizioni precedenti nella serie.
Per una
volta, tuttavia, avranno ragione i critici che tireranno fuori
l'ormai usurata frase: «La trama è solo un pretesto per
gli effetti speciali». In questo caso è verissimo: gli
effetti speciali sono di una complessità grandiosa, che rende
credibili creature improbabili, combattimenti acrobatici e battaglie
titaniche. In fondo è ciò che ci si aspetta da un film
di questo genere in uscita natalizia: che riproduca sullo schermo una
grandiosità relativamente facile da realizzare su una splash
page, ma possibile sullo schermo solo ora che il CGI è
arrivato a livelli inimmaginabili fino a una decina di anni fa.
Vari
flashback ricostruiscono le origini del personaggio (quantomeno una
delle numerosi varianti proposte in oltre settant'anni di storie a
fumetti), dalla storia d'amore clandestina tra il guardiano del faro Thomas Curry
(Temuera Morrison, che qualcuno ricorderà come Jango Fett in
Star Wars) e la principessa atlantidea Atlanna (Nicole
Kidman) in fuga da un matrimonio combinato, alla nascita del
meticcio Arthur Curry, fino alla sua educazione marziale da parte del
mentore Vulko (Willem Dafoe).
La vicenda principale si svolge però dopo
gli eventi di Justice League, quando l'avvenente Mera (Amber
Heard) mette in guardia Arthur sui piani del fratellastro Orm
(Patrick Wilson), figlio legittimo di Atlanna. Con il titolo di Ocean
Master, questi intende riunire i vari popoli, mutanti e altamente
tecnologici, che abitano sotto i mari in una guerra contro la
superficie; e un po' di ragione ce l'ha, vista la quantità di
plastica che l'umanità ha scaricato sopra le loro teste. Ma,
per guadagnarsi l'appoggio del padre di Mera, re Nereus (Dolph Lundgren), Orm non
esita a organizzare la propria strategia della tensione, con la
complicità del pirata subacqueo Black Manta (Yahya Abdul
Mateen II).
L'esito
del primo confronto tra Ocean Master e Aquaman è disastroso.
L'unica possibilità per battere l'aspirante dittatore dei sette mari è
localizzare il mitico tridente di un antico sovrano, in una quest
che porta Arthur e Mera nel Sahara, in Sicilia e nel misterioso Mare
Occulto, per potersi presentare in tempo alla battaglia finale e
sventare il conflitto. Rassicura il fatto che, per arrivare al
tridente, Arthur faccia ricorso anche alle sue conoscenze della
storia di Roma, lasciando intendere che, per essere un supereroe, oltre ai muscoli, occorra a volte un minimo di cultura.
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