lunedì 14 gennaio 2019

Le visioni di Biagio Proietti

Biagio Proietti in una foto di A. C. Cappi

Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Quarantatré anni fa in questi giorni - per la precisione il 13 gennaio 1976 - l'Italia comincia a chiedersi "Dov'è Anna?" È il titolo del giallo televisivo imperniato sulla misteriosa sparizione di Anna Ortese, impiegata in un'agenzia immobiliare di Roma. Quando il commissario Bramante è costretto ad abbandonare le indagini, è il marito della donna, Carlo, a dare inizio alla propria inchiesta privata che trascina con sé gli spettatori italiani (una media di ventiquattro milioni) fino alla rivelazione finale del settimo episodio, in onda il 24 febbraio con un'audience senza precedenti e tuttora ineguagliata: ventotto milioni di persone.
Questo perché Dov'è Anna?, diretto da Piero Schivazappa, non è solo un ottimo sceneggiato (non si usava ancora la parola fiction) in un'epoca in cui i gialli a puntate realizzati dalla RAI sono abitualmente molto seguiti. È anche l'arrivo sul piccolo schermo del "giallo italiano" a tutti gli effetti: personaggi italiani, ambientazione italiana (eccetto una breve parte ambientata in Spagna) e soprattutto storie italiane, al punto che una delle questioni sollevate in un episodio porterà addirittura alla modifica di una legge dello Stato.
Fino a quel momento i gialli della RAI si sono svolti perlopiù all'estero, assecondando la persistente convinzione che l'Italia non fosse un luogo credibile per storie del genere. La scommessa di Dov'è Anna? - sceneggiatura originale di Biagio Proietti e Diana Crispo, che ne trarranno anche un bestseller ripubblicato di recente - è realizzare una storia in cui il pubblico si possa riconoscere. Tant'è che - come racconta il numero della Domenica del Corriere nella foto sopra - vengono presto notate le somiglianze tra la vicenda televisiva e una reale indagine in corso.


RayPlay e una nuova collezione di dvd in edicola dal 2 gennaio 2019 ripropongono questo e molti altri titoli di quella fortunata stagione creativa della televisione italiana. In perfetto tempismo con l'uscita alla fine dello scorso anno da Edizioni il Foglio del libro di Mario Gerosa Biagio Proietti - Un visionario felice, contenente anche contributi di Stefano Di Marino, Enrico Luceri e miei, ma soprattutto i ricordi personali dello stesso Biagio Proietti. Il libro fa seguito al volume Daniele D'Anza - Un rivoluzionario della tv, che Gerosa e Proietti hanno pubblicato presso lo stesso editore nel 2017 e tratta di uno dei registi più importanti dell'epoca degli sceneggiati RAI.
Tuttavia, se Biagio Proietti è noto soprattutto per i suoi sceneggiati gialli (a partire da Coralba, diretto proprio da D'Anza), Un visionario felice percorre tutta la sua carriera tra televisione, cinema, radio, teatro, narrativa e saggistica. Un corpus di opere in cui il giallo-noir ha una forte presenza (va ricordato il film La morte risale a ieri sera di Duccio Tessari, tratto da I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco) così come l'horror (per esempio Black Cat di Lucio Fulci), ma non solo: basta citare una straordinaria versione televisiva di Madame Bovary diretta da D'Anza o la commedia Chewing-gum di cui Proietti è anche regista.
Potrei citare moltissimi altri titoli famosi, ma per sapere tutto c'è, appunto, un libro, con parecchio da leggere e molto da scoprire o riscoprire: buona parte del materiale è disponibile in video e, nell'ultimo decennio, ha conquistato anche un pubblico giovane che non lo aveva "vissuto" all'epoca. Un'esperienza che vi posso consigliare, dal momento che partecipare a questo volume è stato anche per me l'occasione per vedere o rivedere molta dell'estesa produzione di Biagio Proietti.

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sabato 5 gennaio 2019

Aquaman, sopra e sotto i mari



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Aquaman segna un punto a favore della DC. Non perché sia un prodotto particolarmente originale, ma – al contrario – perché riunisce in un unico film una quantità così esagerata di elementi da diventare una Las Vegas di avventure sopra e sotto i mari: fantasy e technothriller, mitologia da peplum e fumetto, Jules Verne e Carlo Collodi (entrambi citati esplicitamente), Pierre Benoit e (almeno per me) Totò sceicco, fantascienza e avventura classica... senza contare alcuni elementi ormai irrinunciabili nella grammatica del film di supereroi, dagli elaborati scenari fantastici al ritrovamento di genitori perduti (con tanto di star ringiovanita al computer per le sequenze in flashback). E, per gli estimatori del genere, persino un kaiju che non sfigurerebbe in Pacific Rim (doppiato nella versione originale nientemeno che da Julie Andrews, altro che ritorno di Mary Poppins).
Una nota storica: il personaggio di Aquaman è stato creato nel 1941 da Paul Norris e Mort Wesinger, ma non è il primo eroe atlantideo della cultura di massa, in quanto segue di due anni Namor alias Sub-Mariner, ideato nel 1939 da Bill Everett per la Timely Comics, antesignana della Marvel. Dopo di loro sarebbero venute altre serie su eroi-mutanti degli oceani, compresi Mar e il suo delfino dell'italiana Edifumetto nel 1974 e il televisivo L'uomo di Atlantide con Patrick Duffy del 1977-78.
È più che evidente che la storica competizione tra le due grandi case editrici fumettistiche statunitensi – la Marvel e la DC Comics – sia oggi passata dalla carta stampata allo schermo. Forse in tv ad avere più successo sono le serie derivate dalla DC, quelle del cosiddetto Arrowverse, mentre al cinema domina inequivocabilmente la Marvel, che nel 2018 ha raggiunto l'apice con Infinity War (benché il capolavoro assoluto sia arrivato nel 2017 con Logan, appartenente al franchise Marvel della 20th Century Fox).
I film del DC Extended Universe basati sui grandi team-up (Batman vs Superman, Justice League) hanno avuto genesi contrastate e risultati inferiori al previsto al botteghino; la pellicola più riuscita, Suicide Squad, è quella che al grande pubblico è piaciuta di meno, forse perché più disobbediente ai canoni abituali; il successo ha arriso invece a Wonder Woman e, stando ai primi risultati, a questo nuovo Aquaman.


Come al solito, la riuscita di un supereroe dipende dall'interprete: anche se per nulla somigliante all'iconografia tradizionale dei fumetti in cui Aquaman ha i capelli biondissimi, l'hawaiiano Jason Momoa – già buon erede di Schwarzenegger nel Conan del 2011 – fa del personaggio un simpatico cialtrone che incanta il pubblico femminile, come già si poteva intuire dalle sue apparizioni precedenti nella serie.
Per una volta, tuttavia, avranno ragione i critici che tireranno fuori l'ormai usurata frase: «La trama è solo un pretesto per gli effetti speciali». In questo caso è verissimo: gli effetti speciali sono di una complessità grandiosa, che rende credibili creature improbabili, combattimenti acrobatici e battaglie titaniche. In fondo è ciò che ci si aspetta da un film di questo genere in uscita natalizia: che riproduca sullo schermo una grandiosità relativamente facile da realizzare su una splash page, ma possibile sullo schermo solo ora che il CGI è arrivato a livelli inimmaginabili fino a una decina di anni fa.


Vari flashback ricostruiscono le origini del personaggio (quantomeno una delle numerosi varianti proposte in oltre settant'anni di storie a fumetti), dalla storia d'amore clandestina tra il guardiano del faro Thomas Curry (Temuera Morrison, che qualcuno ricorderà come Jango Fett in Star Wars) e la principessa atlantidea Atlanna (Nicole Kidman) in fuga da un matrimonio combinato, alla nascita del meticcio Arthur Curry, fino alla sua educazione marziale da parte del mentore Vulko (Willem Dafoe).


La vicenda principale si svolge però dopo gli eventi di Justice League, quando l'avvenente Mera (Amber Heard) mette in guardia Arthur sui piani del fratellastro Orm (Patrick Wilson), figlio legittimo di Atlanna. Con il titolo di Ocean Master, questi intende riunire i vari popoli, mutanti e altamente tecnologici, che abitano sotto i mari in una guerra contro la superficie; e un po' di ragione ce l'ha, vista la quantità di plastica che l'umanità ha scaricato sopra le loro teste. Ma, per guadagnarsi l'appoggio del padre di Mera, re Nereus (Dolph Lundgren), Orm non esita a organizzare la propria strategia della tensione, con la complicità del pirata subacqueo Black Manta (Yahya Abdul Mateen II).
L'esito del primo confronto tra Ocean Master e Aquaman è disastroso. L'unica possibilità per battere l'aspirante dittatore dei sette mari è localizzare il mitico tridente di un antico sovrano, in una quest che porta Arthur e Mera nel Sahara, in Sicilia e nel misterioso Mare Occulto, per potersi presentare in tempo alla battaglia finale e sventare il conflitto. Rassicura il fatto che, per arrivare al tridente, Arthur faccia ricorso anche alle sue conoscenze della storia di Roma, lasciando intendere che, per essere un supereroe, oltre ai muscoli, occorra a volte un minimo di cultura.