Continua su Borderfiction Zone la serie di incontri con gli autori della collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda. Dopo Enzo Verrengia, Giovanni Ingrosso, Andrea Carlo Cappi, Valentina Di Rienzo ed Enrico Luceri. è il turno di Franco Luparia, tra i primi a essere chiamato da Stefano Di Marino a far parte della collana e ora presente con la sua nuova serie de "Il gentiluomo". Del resto, stiamo parlando di una figura molto attiva nel campo della spy-story italiana: con il suo alias Jason Hunter, Franco Luparia pubblica per Edizioni della Goccia la serie Wildguy e per Segretissimo Mondadori la serie Agente Roachford, inaugurata dal romanzo Caccia all'incubo, vincitore del Premio Alan D. Altieri 2020.
SG: Parlaci innanzitutto della tua nuova serie, cominciata con «Un gentiluomo alla deriva», con protagonisti Sir Rowan Greville e il suo maggiordono Irving Murdoch.
Sir Rowan Greville, il gentiluomo che è il fulcro della saga, è un giovane che rifugge il pesante retaggio familiare e le etichette tipiche dell’alta società inglese, ancora ben radicate sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso, epoca in cui la vicenda è ambientata. È uno scavezzacollo giramondo che attira guai ovunque vada; l’esatto opposto del suo maggiordomo Irving Murdoch, uomo riflessivo, prudente e pacato, obbligato da un antico patto a servire e proteggere i membri della dinastia Greville. Allo stesso tempo i due sono complementari: nel corso del primo episodio, Un gentiluomo alla deriva, si scopre come entrambi abbiano spesso calcato in perfetta sintonia campi di fuoco intrisi di sangue, violenza e pericolo.
Insomma, sono uomini d’azione pronti a tutto e Sir Greville può ringraziare l’addestramento ricevuto dal mentore/servitore per essere diventato tale. Dopo avere accompagnato sull’orlo del baratro economico le attività familiari, Rowan decide di mettere le mani su buona parte del denaro rimasto per fuggire altrove sotto una nuova identità, coinvolgendo il fido Irving, legato a lui da secolare giuramento. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco e gli imprevisti che si succedono costringono i nostri eroi a impiegare le proprie abilità in maniera completamente differente, inventandosi spie per conto del proprio governo.
Questo è l’inizio, il resto scopritelo leggendo la prima stagione della “saga del Gentiluomo”. Per completezza di informazione le fonti di ispirazione sono essenzialmente due: Bruce Wayne e Alfred, anche se va detto che l’alter ego di Batman sa come badare all’immenso patrimonio consegnatogli dai genitori. Nelle più recenti evoluzioni in realtà ne ha perso una grossa fetta ma per responsabilità, manco a dirlo, di Joker e non sua. Inoltre mi rifaccio anche a SAS Malko Linge di Gerard De Villiers, che esercita il nobile mestiere al fine di permettersi l’infinita opera di ristrutturazione del castello di famiglia.
SG: Questa non è la tua prima partecipazione a Spy Game: nella collana dedicata allo spionaggio nella Guerra Fredda hai già pubblicato Operazione Saba e i due episodi dedicati alla Rondine, Una rondine rosso sangue e A volo di rondine.
Vero e… a proposito di fonti di ispirazione: avevo visto da poco Red Sea Diving, film con Chris Evans che ripercorreva la vera storia di un'operazione avviata dal Mossad in Sudan, organizzata con il fine di permettere ai Falasci etiopi di raggiungere la Terra Promessa, ovvero Israele. Tele etnia, di origine ebraica, fu a lungo oggetto in patria di crudeli persecuzioni in odore di pulizia etnica. La vicenda mi aveva coinvolto e appassionato al punto tale che, una volta ricevuto da Stefano Di Marino l’invito a collaborare con la collana, ho deciso di dire la mia tramite le gesta di un personaggio di pura fantasia che ho fatto agire accanto ad altri realmente esistiti.
Colton Bryce, protagonista di Operazione Saba, è il classico belloccio dal fisico scolpito, amante della scoppiettante vita notturna nella New York di fine anni Settanta, agente di una CIA che lo ha relegato in un angolo a causa di intemperanze passate. Il suo riscatto potrà realizzarsi solamente catturando una talpa russa, fuggita da Washington portando con sé un microfilm contenente segreti di vitale importanza per l’intelligence statunitense. E, guarda caso, la pista dell’infiltrato lo conduce in Sudan, tra i falasci in fuga. Attualmente le sue gesta costituiscono un one-shot a cui non ho mai pensato di dare seguito. Ma chi è che diceva “mai dire mai”?
Destino leggermente diverso per Fedora Kuznetzova, protagonista di Una rondine rosso sangue e A volo di rondine. "Rondini" erano definite le poveracce che il Cremlino reclutava, quasi sempre in maniera poco ortodossa e contro la loro volontà, per venire impiegate nella riuscita delle tristemente note “trappole al miele”, nel corso delle quali erano obbligate a ricorrere ai più umilianti espedienti, in primis utilizzando e mercificando il proprio corpo, al fine di adescare, sorvegliare e gettare i semi per la definitiva rovina di soggetti sospettati di condurre attività potenzialmente dannose per l’Unione Sovietica.
Ho inventato di sana pianta lo status di “Rondine rosso sangue”, evoluzione dell’incarico riservata a poche elette che dimostravano innate crudeltà e totale dedizione alla causa, oltre a competenze sessuali superiori alla media delle colleghe. A definitiva sublimazione il Cremlino riservava per tali soggetti il libero arbitrio necessario a intraprendere iniziative personali, se giudicate utili a portare a temine l’incarico; le concessioni comprendevano anche una aberrante "licenza di uccidere”.
Fedora è la massima espressione di tale corso: ai requisiti esposti aggiunge la peculiarità di trarre profondo piacere dai rapporti fisici intrattenuti con le sue vittime, e portare sempre a termine con successo le missioni assegnatele; del resto non trovo corretto o veritiero che, in ambito narrativo, debbano essere sempre i russi a perdere la partita. La bionda, che ovviamente è di un’avvenenza esplosiva, ha un ruolo determinante nel quarto romanzo del ciclo a firma Jason Hunter dedicato a Wildguy, intitolato Il giglio del Ragno Rosso, nel quale, in un lungo flashback ambientato negli anni Ottanta, si trova a confrontarsi con il padre del protagonista. Vorrei far tornare Fedora in Spy Game o, addirittura, proporre una sua versione invecchiata ma ancora insidiosa in un prossimo romanzo della serie Agente Roachford (scritto sempre con lo pseudonimo Jason Hunter).
Vorrei ancora aggiungere che con Delos ho collaborato anche alla collana Passport, su invito dell’amico Fabio Novel, e come in Irina e Sangue sul Caucaso si trovino parecchi spunti mutuati da action e spy story.
SG: In passato hai anche collaborato alla serie Dream Force, sempre di Delos Digital, che invece era dedicata alla formula della "spy story sexy".
Dream Force è stato un gioco gioioso, voluto e realizzato, come per la stessa Spy Game, da Stefano Di Marino. Sono convinto che si divertisse, non solo scrivendo in prima persona racconti spy-action tremendamente sporcaccioni ma anche arruolando altri autori per constatare fino a dove si spingessero nella descrizione delle numerose scene hot di cui doveva essere tassativamente dotato il manoscritto. Me lo vedo sorridere mentre immaginava l’eventuale imbarazzo che poteva tingere di rosso le guance dell’interpellato di turno.
Ammetto di essermi divertito parecchio nel realizzare il lavoro e nel leggere o ascoltare i commenti di chi li aveva letti, Stefano davanti a tutti. A giudicare dal numero di download e dalla longevità della collana reputo che il vecchio amico avesse visto lungo e che numerosi siano i cultori dell’Ifix Tcen Tcen e gli estimatori di Lisa Ann. Il mio lavoro più scaricato si intitola Duro come la pietra, il che la dice lunga sui contenuti… almeno credo.
SG: La spy story ha numerose declinazioni, ma tu sembri trovarti a tuo agio sia con quella "d’azione", sia con quella più classica. Qual è la tua visione personale del genere?
La spy story abbraccia entrambi i versanti. Mi trovo più a mio agio con trame lunghe, ambientate nel presente e che concedano maggior spazio all’azione. Negli anni tale concetto è cambiato, divenendo via via sempre più estremo, crudele, quasi apocalittico.Il racconto breve mi sta stretto, non per nulla le saghe pubblicate in Spy Game sono in più parti e trovo più impegnativo tentare di coinvolgere il lettore solo con la narrazione degli eventi e una massiccia dose di dialoghi. Ma, se la sfida mi reclama, allora faccio il possibile per trovare il giusto compromesso: la riconvocazione di Andrea Carlo Cappi è stata un onore, come lo è comparire in una collana a fianco di altri autori di cotanta bravura ed esperienza, per cui mi ci sono buttato a capofitto. Se ho centrato l’obiettivo, saranno i lettori a giudicarlo e i download a provarlo.
SG; Cosa ti ha fatto appassionare alla narrativa di spionaggio?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe iniziare da molto lontano. Tenterò di sintetizzare: la prima passione è stata l’avventura, di ambientazione contemporanea (per gli anni di una lontana gioventù), insieme al western, passando da Emilio Salgari, Joseph Conrad, Jules Verne e Alexandre Dumas. E, guarda caso, già almeno un paio di questi autori narravano di spie. Prima metà anni Ottanta: è scoppiato il grande amore per i romanzi di Eric van Lustbader; e poi Tom Clancy, John Le Carrè… Scusate, qui non ci stanno tutti ma la direzione presa per arrivare a Daniel Silva dovreste averla capita.
In seguito ho trascorso anni alla ricerca di emozioni che il classico giallo, o thriller, non è mai riuscito a darmi; difatti non ne faccio gran consumo, vi prego di non volermene. Un giorno, passando dall’edicola, decisi di riavvicinarmi a Segretissimo Mondadori, che da tempo non seguivo più. E qui la definitiva folgorazione, scaturita dalla lettura di nomi a me nuovi: Stephen Gunn, François Torrent, Alan D. Altieri, Secondo Signoroni, Jo Lancaster Reno, Rey Molina e così via. Tali letture, di autori che con il passare del tempo scoprivo essere italiani. hanno riportato in superficie la voglia di cimentarmi nella scrittura in prima persona, desiderio sopito almeno venticinque anni prima. Il resto è storia recente e ogni mia produzione deve tanto a ognuno di loro.
SG: Con la vittoria del Premio Alan D. Altieri per il romanzo inedito nel 2020 sei entrato a far parte della "Legione Straniera" di Segretissimo sotto lo pseudonimo di Jason Hunter, dando inizio alla serie Agente Roachford, di cui è uscito da poco il nuovo episodio, Il morso dello squalo. Raccontaci la tua esperienza nella storica collana di Mondadori.
Un sogno che non avrei mai pensato di vivere e che si è realizzato grazie alla giuria presieduta da Franco Forte, tra le cui attività ha grande rilevanza quella che lo vede alla guida delle testate da edicola di Mondadori. La mia stima e la gratitudine che provo nei suoi confronti sono infinite: mi ha indicato la direzione, mi ha ascoltato e sopportato con infinita pazienza, e ha presieduto la giuria che mi ha giudicato degno di vincere il Premio Altieri: un amico, un uomo di cultura, un mentore. Grazie! Senza nulla togliere agli altri che mi sono stati vicini, esortandomi a continuare nella direzione indicata e a migliorarmi di continuo, Stefano e Andrea in primis.
Ho ricordi indelebili della storica serata in cui ho ricevuto il premio al Mystfest di Cattolica addirittura dalle mani di Valerio Manfredi. Penso sia stata una delle serate più bollenti del millennio, almeno per me che tendo ad agitarmi e a sudare quando vengo premiato e coinvolto davanti a un pubblico stupendo quale quello che affollava il luogo in cui si teneva l’evento; a tale condizione si aggiungevano i trentanove gradi con il novanta per cento di umidità che alle ventidue ancora, ci avvolgevano. Non so come sono riuscito a spiccicare quattro parole senza svenire sul palco. Mi hanno applaudito, quindi missione compiuta. Stupendo, indimenticabile.
Ho conosciuto tutti i miei eroi che seguo e che diventavano in tale occasione anche colleghi. Ne mancavano almeno tre: Secondo Signoroni, che mi pare di capire non compaia spesso in pubblico, Andrea Carlo Cappi e Stefano Di Marino; ancora mi spiace. Vi assicuro di aver prontamente perdonato Andrea e Stefano: con loro, per mia fortuna, avevo già avuto occasione di trascorrere alcune belle serate a tema in Milano; il primo addirittura avevo avuto occasione di conoscerlo a Casale Monferrato, città in cui risiedo, in occasione di una tre giorni dedicata a Diabolik. Purtroppo non immaginavo che non avrei mai più avuto occasione di rivedere Stefano, non su questo piano astrale almeno, e ciò è ancora motivo di grande afflizione. E come non ricordarsi dell’affetto e della partecipazione del pubblico che han fatto sì che quella serata diventasse qualcosa di indimenticabile?
Oggi mi onoro di fare parte di una squadra che si è ampliata con nuovi ingressi, con i quali sono in contatto tramite chat singole o comuni, social e, più di rado, incontri dal vivo in occasione di eventi vari, primo tra tutti il Mystfest. Far parte della Legione è qualcosa che va al di là del semplice commento, bisogna farne parte per capirlo. Grazie a tale appartenenza ho stretto impagabili rapporti di amicizia con lettrici e lettori di ogni dove. Insomma, un’esperienza superlativa sotto tutti i punti di vista!
SG: Come molti autori di spionaggio, stai lavorando in un universo in cui i tuoi diversi cicli sono collegati tra loro: nelle storie del gentiluomo, oltre ad alludere alla Rondine, ci sono agganci alle serie Wildguy e Agente Roachford.
R - Se Cappi ha il suo Kverse, diamine, io ho idealizzato un personale Hunterverse che è parallelo a quello in cui si muovono Nightshade, il Professionista o lo Sniper. Almeno credo, come già detto: “mai dire mai"... Comunque sì, la fonte di ispirazione di questa visione è l’immenso Alan D. Altieri, che mantiene connessioni di continuità tra protagonisti e comprimari dei suoi lavori che vanno dal Medio Evo allo spazio profondo di un futuro non troppo lontano, passando per i tiri infallibili del colonnello Kane. Non mi spingo a raggio talmente ampio ma ho allargato man mano la mia personale cosmologia.
Partendo da Wildguy, il mio primo agente del caos, ho contagiato Roachford catapultandolo, dal secondo romanzo in avanti, in un ambiente di lavoro che è il medesimo in cui si muove Wildguy: stessa agenzia spionistica, stesso direttore, parecchi comprimari comuni, pur con cattivi e zone di azione differenti. I punti in comune sono molti, anche se non credo scriverò mai un crossover esteso. Comunque, prestate attenzione: i due si sono trovati costretti a collaborare nelle vicende narrate ne Gli angeli di Kabul racconto pubblicato nel luglio 2022 da Segretissimo Mondadori all’interno dell’antologico Big Wolf. Ho in mente anche un breve incontro di tipo colloquiale nel prossimo romanzo di Wildguy. Roba breve, seduti al tavolino di un bar affacciato sul mare, per intendersi.
Anche i miei Spy Game rientrano in tale universo: la Rondine, comparsa nel romanzo citato in precedenza, nei racconti che la vedono esordire ha uno stretto rapporto con il padre di un personaggio cardine della saga di Wildguy. Infine, senza spoilerare troppo, anticipo che nei prossimi episodi del Gentiluomo farà la sua comparsa un personaggio di peso nell’economia della serie appena citata. Puro divertimento, credetemi, che mi auguro tutti i lettori riescano a cogliere e di cui godere appieno.
SG: Per concludere, ti chiediamo un tuo ricordo personale dell’ideatore della collana Spy Game, oltre che più importante autore italiano di narrativa di genere e, in particolare, di spionaggio: Stefano Di Marino.
Solo al pensiero di formulare una risposta un nodo mi stringe la gola. Stefano è stato il primo autore di Segretissimo che ho avvicinato e incontrato, con cui mi sono dilungato a discorrere di temi cari a entrambi, a proposito dei quali era ben più formato del sottoscritto. Una persona di grande cultura, gentile, mite, spiritosa, un sognatore che ha preferito inseguire appunto quei sogni giovanili che tanto facevano parte del suo bagaglio, piuttosto che una strada all’apparenza già scritta, sfidando tutto e tutti, diventando uno dei più grandi e prolifici narratori del panorama di genere italiano.
Devo essere entrato in modo definitivo nelle sue corde quando, da mie battute e confidenze, ha capito di trovarsi di fronte a un ragazzaccio mai cresciuto che, senza mai accasarsi, ha frequentato per lungo tempo quei localacci e quelle donne di dubbia moralità che tanto piacevano a Chance Renard. E che forse, per lo stesso motivo, tanto ha apprezzato il Professionista. La sua assenza pesa e lo farà sempre, non solo nel mio cuore ma anche in quello di coloro che lo hanno conosciuto di persona o per mezzo dei suoi scritti. Ciao Stefano.
Giunti a questo punto voglio ringraziare il mio etereo intervistatore, BorderfictionZone che pubblicherà queste quattro chiacchiere, le altre case editrici che, oltre a Delos Digital, danno spazio ai miei prodotti (Mondadori ed Edizioni della Goccia) gli amici lettori tutti ai quali mando un abbraccio: senza di Voi non esisterebbero Jason Hunter o un Franco Luparia agente di commercio che scrive di agenti segreti.
Da Franco Luparia nella collana Spy Game:
Un gentiluomo alla riscossa
Un gentiluomo sul ghiaccio
Le precedenti interviste di Spy Game