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Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 54 - Lettere ai mostri
Venerdì, ore 13. Avevo pubblicato su un'antologia Mondadori un racconto dal titolo Lettera a un mostro. Mi era stato ispirato dal primo film della saga Nightmare. Un bambino scrive a Freddy Krueger perché ha un mostro nella vita: uno di quelli umani, in carne e ossa.
Ero io quel bambino, dopo tutto. Un bambino che invia lettere ai personaggi della fiction per trovare un momento di sollievo dall'orrore del reale che lo tortura ogni giorno. Scrivere a Jack lo Squartatore non fa male quanto la sassata, lo sputo, l'insulto di un bullo.
Le lettere che avrei voluto scrivere non sarebbero state destinate agli assassini dell'immaginario, ma ai veri e spietati mostri da cui mi sentivo circondata. Quelli che mi bloccavano nella sabbia mobile dell'inesistenza e della derealizzazione.
Una dama del nuovo movimento giallonoir, che non aveva mai speso una parola per il mio lavoro, mi dice che con Lettera a un mostro l'ho sorpresa (perché non se lo aspettava da me) e che (mi concede) ora devo raggiungere la stessa intensità anche nel romanzo, perché capisci, è molto più difficile mantenerla per trecento cartelle che non per tre.
Il racconto Lettera a un mostro aveva segnato un punto di svolta. L'avevo scritto in una sola sera, dalle 19 a mezzanotte, per una qualche tipo di urgenza. E con tutti i sentimenti, le rabbie, gli odi e gli amori. Qualcosa si era sbloccato dentro di me. Per Andrea Carlo Cappi, era un capolavoro. Volevo scrivere un intero romanzo con tutti i sentimenti, le rabbie, gli odi e gli amori.
L'idea arriva da un articolo sulla dislessia infantile. Penso a una bambina dislessica che impara a leggere associando le immagini dei fumetti alle parole contenute nei balloon, e da grande diventa sceneggiatrice.
Un giro vorticoso di neuroni, una tempesta mentale. Fumetti e gialli avevano fino allora segnato la mia vita. Perché non accoppiarli e far loro partorire un figlio? Un giallo ambientato nel mondo del fumetto.
Intendevo rendere omaggio a due forme espressive disprezzate, e anche raccontare qualcosa di me.
Il fumetto nella mia simbologia personale rappresenta l'infanzia, la corsa in edicola per comprare il giornalino, l'età dell'innocenza, delle nuvole parlanti in un cielo blu, dell'avvenire roseo e dell'ingenuità felice.
Poi il dramma: il giornalino è strappato, l'infanzia violata.