giovedì 1 dicembre 2022

Iperwriters - L'isola che c'è

Photo: Nareeta Martin on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 11 - L'isola che c'è

Venerdì, ore 13.
Guardo l'editoria italiana come la guardavo allora, a ventiquattro anni. Inarrivabile per noi nati negli alloggi degli schiavi, polvere umana, unto umano incrostato nelle periferie. In un'altra dimensione... come la luna, Hollywood e la finanza internazionale. Come la vita dei ricchi, che esiste, parallela alle nostre, ma separata.
L'isola che non c'è è raggiungibile: seconda stella a destra, ecc.
Questa è un'isola che c'è, e solo il pensiero di raggiungerla fa perdere le forze e affogare fra le onde. C'è di mezzo un mare senza barche.
Ho osservato la Letteratura Italiana scorrere come un fiume per le librerie nei decenni, portando a volte scrigni pieni di gioielli e a volte detriti fetenti, sempre con un sentimento di sgomenta incredulità. Non la capivo.
Insieme al monologo joyciano e al postmoderno è iniziata e poi passata una tendenza ad annunciare e creare capolavori. Il capolavoro che un tempo richiedeva una cinquantina d'anni per affermarsi si sfornava subito. A volte non era ancora compiuto e lo si stava ancora scrivendo. Forse uno degli ultimi conati per sostenere, spingere avanti l'autorialità. O forse una perfida manovra per stroncare l'imprevedibibilità del capolavoro, che nasce spontaneamente e si afferma quasi sempre creando disagio, talvolta rifiuto. Occorreva esercitare un controllo sulle opere da destinare al pubblico?
Si parlava di morte del romanzo, e si scrivevano romanzi per raccontarla.
E intanto si volevano “esiti stilistici”. Abbandonato il capolavorismo, era rimasto uno dei suoi vezzi: la scrittura in italodialettese, già sicura garanzia di dignità letteraria.
L'editoria italiana era un palazzo sontuoso abitato da cadaveri snob, e la letteratura un funerale barocco e pretenzioso. Un velo di lingua raffinata, magistralmente intessuta, disteso sul nulla. Il Nulla, il vero dio del nostro tempo, perché non chiede nulla. E' così rassicurante, così confortevole che la vita non abbia senso! Aboliti dovere, disciplina, responsabilità, perfino la pur minima seccatura.
Così mi apparivano le cose, quando mi trascinavo dalla biblioteca alla mensa universitaria (la sola cosa buona dell'Università, costava qualcosa come ottocento lire, mi pare).
Si spera sempre in un evento che cambi la vita. Ed ecco l'evento.


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