venerdì 16 dicembre 2022

Iperwriters - I can do that

Photo: Maksim Kaharlytitsyi on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 12 - I can do that

Venerdì, ore 13.
Per me è il 1978, e la svolta arriva dall’alternatività.
In tutti gli ambienti di alternativi c’è una grande mamma di tutti e, in quello che frequentavamo Max e io, la mamma era una sceneggiatrice di fumetti. Arruolata da uno studio locale con un’altra sede a Milano, che dava accesso a tutta l’editoria italiana a fumetti. Un mondo molto, mooolto diverso da quello attuale. Quasi un'era giurassica, di cui noi eravamo i dinosauri.
Niente scuole di scrittura creativa, sceneggiatura per film e comics. Si lavorava da subito e si era pagati. Si era pagati, in un paese in cui anche i laureati confondevano la sceneggiatura con la scenografia. Si era pagati quando quasi nessuno sapeva cosa fossero un soggetto e una sceneggiatura: questo dovrebbe far meditare.
Naturalmente, occorreva aver appreso quanto serviva da subito: gli sceneggiatori anziani fornivano solo consigli di carattere tecnico (per esempio: prepara il colpo di scena in pagina dispari in modo che il lettore lo trovi in pagina pari). Al resto (cultura generale, capacità di visualizzazione, inventiva, struttura, passaggi da una scena all’altra, ritmo ed equilibrio) doveva provvedere la natura.
Nel film Chorus Line un ballerino racconta di aver scoperto il suo talento guardando danzare altri: I can do that. Per me è stato così.
Sapevo costruire una storia. Come, perché? Forse per l'enorme quantità di libri e film divorati: “Tu fai tuo tutto quello che leggi”, diceva la mia insegnante di italiano alle superiori. Ma ho scoperto solo con i fumetti di avere questa capacità biologica.
Il primo soggetto accettato: la storia di uno sciamano sioux che vede la fine dei popoli americani.
Il mondo non si apriva, ma si socchiudeva abbastanza per farmi sperare. Non era il paradiso americano, ma una goccia di libertà e una fuga all’interno dell'Italia. Settantamila lire per le pubblicazioni Universo, cento per quelle della Lancio.
A questo punto la mia storia comincia a intrecciarsi veramente a quella della Letteratura Italiacana. Nella buona e nella cattiva sorte, come in ogni fottuto matrimonio.


domenica 11 dicembre 2022

Buio in scena o la nuova carne della letteratura


Recensione e retroscena di Andrea Carlo Cappi
Illustrazioni di Roberta Guardascione

Era un po' che nell'ambiente della letteratura fantastica italiana sentivo parlare del romanzo "Buio in scena" di Mario Gazzola, già finalista all'illustre Premio Laymon di Independent Legions, benché non ancora pubblicato. Per leggerlo ho dovuto aspettare che nascesse il marchio Posthuman. Perché in apparenza il libro piaceva parecchio ad alcuni editori, ne spaventava molti altri e nessuno sapeva come etichettarlo - come capita a tutto ciò che è davvero innovativo - quindi il romanzo è rimasto inedito fino all'estate 2022.
Meglio così: forse perché cresciuta in un ambiente inospitale, la creatura si è evoluta ed è diventata sempre più forte, trasformandosi in un fenomeno che ormai dallo scorso settembre è colpevole ignorare. Se qualcuno ha bisogno di etichette, ne propongo io una di stampo cronenberghiano: "la nuova carne della letteratura", ossia qualcosa che parte dalla narrativa per occupare nuovi spazi.
L'autore ammette di essere partito da una notizia di cronaca: uno spettacolo teatrale allestito con i detenuti di un carcere ebbe un tale successo da essere portato in tour in teatri veri... ma alcuni degli interpreti approfittarono dei giorni di libera uscita per riprendere certe vecchie attività criminali. Già questo spunto basterebbe per immaginare una storia alla Quentin Tarantino, giusto per usare un'etichetta. Tuttavia Mario Gazzola va ben oltre.


Nel romanzo, il regista dello spettacolo è il folle e geniale Alvaro Cortez, il quale segue i dettami di un saggio ormai introvabile (vero e proprio "libro maledetto") che propone un teatro assoluto e totalizzante. Il regista lavora quindi sui suoi attori-detenuti, innestando nel testo le loro storie personali, a costo di portare alla luce le ombre più oscure del loro inconscio. E qui all'ambientazione carceraria e alla componente noir si aggiunge una dimensione di horror psicologico con risonanze rock-blues. Non siamo di fronte a un'ibridazione letteraria elaborata a tavolino, bensì a un'opera originale, coinvolgente, affascinante e destabilizzante.
Non pago di ciò, Gazzola ha anche scritto una versione alternativa della storia, in chiave di teatro nel teatro. Insieme a Roberta Guardascione, artista il cui immaginario visivo coincide con quello letterario dello scrittore, ha dato vita a un secondo libro, interamente illustrato, per cui bisogna inventare una definizione tutta nuova: potremmo dire "graphic drama", giusto perché il termine più corretto "graphic play" potrebbe essere scambiato da chi non sa l'inglese per un videogame. Il testo teatrale "Buio in scena - Il teatro della dannazione" si inserisce tra immagini di scena e scenografie concepite dall'artista, proiettando chi legge nell'universo condiviso da entrambi gli autori.
Che Gazzola ami le contaminazioni tra varie arti si sapeva già, da quando non solo ha scritto il saggio "Fantarock" con Ernesto Assante (vincitore del Premio Vegetti), ma ne ha messo in pratica i concetti con il sorprendente esperimento di "S.O.S. - Soniche Oblique Strategie", in cui sotto la sua direzione vari autori e illustratori sono stati coinvolti in un gioco letterario tra fantascienza, rock e metaletteratura; entrambi i titoli sono editi da Arcana. 


Ma nei due volumi di "Buio in scena" narrativa, teatro, pittura, musica e realtà si fondono in forme del tutto nuove. Dico "realtà" a seguito di quanto avvenuto nel settembre 2022 al Festival Torre Crawford di San Nicola Arcella (Cosenza), legato all'omonimo concorso letterario ispirato allo scrittore Francis Marion Crawford che proprio qui scrisse molte sue opere. Erano previste la presentazione dei due ancora inediti e misteriosi libri di Gazzola, e la mostra con le relative illustrazioni di Roberta Guardascione, autrice anche dell'immagine di copertina per l'antologia annuale del Premio Torre Crawford.
Tra i racconti anonimi pervenuti al concorso ne era nascosto uno di Mario Gazzola, che si salda sia al tema dell'anno (dal racconto "La bambola fantasma" di F. M. Crawford), sia all'universo di "Buio in scena". Nessuno sapeva ancora nulla del contenuto dei due libri, ma tutti i giurati sono rimasti travolti dalla potenza del racconto, che è risultato vincitore dell'edizione 2022 ed è ora incluso nell'antologia "Un'inquietante sensazione indefinibile", disponibile da Oakmond Publishing in volume e ebook su Amazon, e nell'edizione cartacea ordinabile anche presso segreteria@premiotorrecrawford.it.
So che Mario Gazzola e Roberta Guardascione non hanno ancora finito di esplorare il mondo oscuro di "Buio in scena", ma intanto non potete rinunciare a scoprirlo in tutta la sua forza immaginifica nel romanzo e nella versione teatrale illustrata, che saranno presentati al Wow-Museo del Fumetto di Milano (viale Campania 12, ingresso libero) il 17 dicembre 2022 alle 17.00 durante l'evento "Una slitta piena di libri", che si concluderà alle 18.00 con un brindisi natalizio.










giovedì 1 dicembre 2022

Iperwriters - L'isola che c'è

Photo: Nareeta Martin on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 11 - L'isola che c'è

Venerdì, ore 13.
Guardo l'editoria italiana come la guardavo allora, a ventiquattro anni. Inarrivabile per noi nati negli alloggi degli schiavi, polvere umana, unto umano incrostato nelle periferie. In un'altra dimensione... come la luna, Hollywood e la finanza internazionale. Come la vita dei ricchi, che esiste, parallela alle nostre, ma separata.
L'isola che non c'è è raggiungibile: seconda stella a destra, ecc.
Questa è un'isola che c'è, e solo il pensiero di raggiungerla fa perdere le forze e affogare fra le onde. C'è di mezzo un mare senza barche.
Ho osservato la Letteratura Italiana scorrere come un fiume per le librerie nei decenni, portando a volte scrigni pieni di gioielli e a volte detriti fetenti, sempre con un sentimento di sgomenta incredulità. Non la capivo.
Insieme al monologo joyciano e al postmoderno è iniziata e poi passata una tendenza ad annunciare e creare capolavori. Il capolavoro che un tempo richiedeva una cinquantina d'anni per affermarsi si sfornava subito. A volte non era ancora compiuto e lo si stava ancora scrivendo. Forse uno degli ultimi conati per sostenere, spingere avanti l'autorialità. O forse una perfida manovra per stroncare l'imprevedibibilità del capolavoro, che nasce spontaneamente e si afferma quasi sempre creando disagio, talvolta rifiuto. Occorreva esercitare un controllo sulle opere da destinare al pubblico?
Si parlava di morte del romanzo, e si scrivevano romanzi per raccontarla.
E intanto si volevano “esiti stilistici”. Abbandonato il capolavorismo, era rimasto uno dei suoi vezzi: la scrittura in italodialettese, già sicura garanzia di dignità letteraria.
L'editoria italiana era un palazzo sontuoso abitato da cadaveri snob, e la letteratura un funerale barocco e pretenzioso. Un velo di lingua raffinata, magistralmente intessuta, disteso sul nulla. Il Nulla, il vero dio del nostro tempo, perché non chiede nulla. E' così rassicurante, così confortevole che la vita non abbia senso! Aboliti dovere, disciplina, responsabilità, perfino la pur minima seccatura.
Così mi apparivano le cose, quando mi trascinavo dalla biblioteca alla mensa universitaria (la sola cosa buona dell'Università, costava qualcosa come ottocento lire, mi pare).
Si spera sempre in un evento che cambi la vita. Ed ecco l'evento.