Recensione di Andrea Carlo Cappi
Un film il cui titolo nella distribuzione italiana, Paradise Beach – Dentro l’incubo, può creare equivoci, se si fa caso solo alla parte che precede ul trattino, laddove il titolo originale significa, più semplicemente, "le secche" (ma in italiano sarebbe stato frainteso). Uscito con un discreto successo nell’estate 2016, è un’ottima variazione sul filone degli squali, in cui il tema non è quello della caccia, bensì quello della pura sopravvivenza individuale.
Nancy Adams (Blake Lively), studentessa texana di medicina, compie una sorta di pellegrinaggio alla spiaggia messicana senza nome in cui venticinque anni prima sua madre scoprì di essere incinta. Il regista iberico Jaume Collet-Serra si serve di unespediente già da lui stesso impiegato nel bel thriller Non-Stop con Liam Neeson e Julianne Moore - sovrapporre alle immagini il display di un cellulare - per raccontare tra fotografie e videochiamate i retroscena della vacanza: la ragazza ha lasciato l’università, in crisi dopo la malattia e la morte della madre. L’aspetto umano della protagonista viene presentato con sobria concisione in brevi ma significative pennellate.
Sono in pochissimi a conoscere le spiaggia, paradiso per i surfisti locali che mantengono il segreto. Nancy prende la tavola. Ma, fatalmente, si avvicina troppo alla carcassa di una balena sotto la quale banchetta invisibile uno squalo gigantesco. Lei gli sfugge per miracolo, a prezzo di uno squarcio a una gamba che dovrà medicarsi da sola con mezzi di fortuna, dopo essersi rifugiata su uno scoglio di cui, con l’alta marea, resta emersa solo la sommità.
E adesso?
La spiaggia è vicina, ma non abbastanza da battere lo squalo sul tempo. Il telefono è nello zaino a riva, l’area è deserta, nessuno può intervenire. Ma Nancy non si arrende, anche se qualsiasi mossa faccia provoca un attacco immediato da parte dell’avversario. Deve giocare d’astuzia, calcolare i tempi e le distanze, e sfruttare il poco che ha a disposizione.
La forza del film, scritto in modo essenziale da John W. Richardson e Chris Roach (stesso duo di Non-Stop), ben diretto e ben interpretato, è proprio il confronto tra un’eroina solitaria, in scena ininterrottamente dal principio alla fine, e una forza della natura nettamente superiore a lei. C’è persino un tocco stile Il vecchio e il mare, cosa insolita per un thriller estivo a base di squali. Il che dimostra che, quando si ha talento, si può prendere un soggetto prevedibile e farne una bella storia.
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