martedì 18 agosto 2020

Endless Night (1972)



Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi

Vidi questo film al cinema circa quarantasette anni fa, in seconda visione come si usava allora, sotto il titolo Champagne per due dopo il funerale. Fino a ieri, quando l’ho estratto da un cofanetto spagnolo con ben undici film tratti da Agatha Christie, ne ricordavo quasi solo il manifesto italiano, che replicava la grafica de Il Giallo Mondadori, pubblicazione seguita da tutta la famiglia. All’epoca non avevo ancora cominciato a leggere né gialli né la Christie – il cui nome era bene in vista sul cartellone – ed è probabile che questo film abbia contribuito al mio interesse per l’argomento.
Il caso vuole che nel quasi mezzo secolo intercorso mi sia capitato di incontrare l’attrice più famosa del cast, ma il romanzo da cui è tratto il film rimanga uno dei pochi che non abbia mai letto di Dame Agatha. Tra parentesi, il titolo originale di libro e pellicola è Endless Night, da una poesia di William Blake; il titolo italiano del romanzo è invece Nella mia fine è il mio principio, frase attribuita a Mary Stuart, regina di Scozia, e ripresa da un altro poeta, T. S. Eliot, ne I quattro quartetti. Ma l’oblio mi ha permesso di rivedere il film nelle condizioni migliori, ossia con solo un vago sospetto di come si risolvesse.

Endless Night
è uscito nel 1972, solo cinque anni dopo la pubblicazione del romanzo, anche se la trama sviluppa quella di un precedente racconto di Miss Marple. Ma libro e film non hanno al centro un detective e sono imperniati sulla narrazione in prima persona del protagonista, un giovanotto della working class che ambisce a un passaggio di categoria, tema ricorrente nella cinematografia britannica dell’epoca. Viene da pensare con nostalgia al fatto che oggi questa spinta al miglioramento – anche attraverso la cultura – sembra essersi spenta nel Regno Unito come più o meno dappertutto.
Il giovane Mike Rogers (l'attore televisivo Hywel Bennett) ama i vestiti eleganti, i musei, le case d’aste, le proprietà immobiliari. Un mondo cui ha accesso solo come autista dei ricchi che accompagna per le strade di Londra e in giro per l’Europa. A Positano incontra però il geniale architetto Santonix (Per Oscarsson, attore svedese apparso di recente anche in Millennium), malato terminale, che si appassiona al sogno di Mike di costruire una casa sul terreno di Gipsy’s Acre, nella campagna inglese, e vuole farne il proprio ultimo capolavoro.
Un sogno impossibile, se il giovane non avesse appena conosciuto la graziosa americana Ellie Thomsen (Hayley Mills, figlia di sir John Mills ed ex-star della Disney). La storia d’amore tra i due si risolve in un matrimonio all’insaputa delle rispettive famiglie, con la complicità indiretta di Greta, insegnante di tedesco e amica di Ellie (Britt Ekland). Sogno realizzato: Santonix riesce a completare una magnifica residenza a Gipsy’s Acre, unendo architettura e tecnologia anni Settanta. Unici dettagli fuori posto: un’anziana signora del luogo – una sorta di Mary Poppins in negativo – che si aggira nei dintorni lanciando sassi e maledizioni; e la bella Greta, che si piazza a casa della coppia e sembra voler dettare legge.
Ma, come dice William Blake – nella poesia musicata dall’autore della colonna sonora, del quale parlo tra poco – c’è chi è nato per le gioie della vita e c’è chi è nato per la notte infinita...

Nel cast, oltre al leggendario George Sanders nel ruolo dell’avvocato di famiglia, appaiono molti volti di caratteristi britannici dell’epoca, come Lois Maxwell (la Moneypenny storica dei film di James Bond), Walter Gotell, Peter Bowles o David Bauer. Il film, diretto dal professionista Sidney Gilliat, è volutamente hitchcockiano, con qualche sperimentalismo appena accennato e un’atmosfera che nella rare scene meno glamour (Mike a casa della madre) richiama Frenzy, ma soprattutto con le musiche di Bernard Herrmann, già autore delle più celebri colonne sonore per il mago del brivido.
La Christie non fu entusiasta del risultato, turbata anche da una breve inquadratura delle natiche di Britt Ekland... o di una sua controfigura. Ma la pellicola è, credo, fedele al romanzo, alla sua struttura narrativa e alle sapienti ambiguità di Dame Agatha. Risulta efficace ancora oggi, con un elevato grado di suspense, oltre a essere un perfetto spaccato di società, design e lifestyle anni Settanta. Una curiosità e un altro titolo da scoprire anche per me: la coppia protagonista e Bernard Herrmann avevano partecipato nel 1968 al thriller di Roy Boulting I nervi a pezzi, il cui tema musicale è stato riportato alla fama da Quentin Tarantino in Kill Bill vol.1.

martedì 4 agosto 2020

Una pietra impossibile per Martin Mystère

Intervista di Gigi Montero ad A. C. Cappi

Un estratto dal numero della rivista "Cronaca vera" di fine luglio, con un'intervista sul nuovo romanzo con protagonista Martin Mystère - il detective dell'impossibile creato da Alfredo Castelli nel 1982 per Sergio Bonelli Editore - scritto da Andrea Carlo Cappi. Il volume è in edicola nell'estate 2020 da Sergio Bonelli Editore, nella collana "SBE presenta".


Quali misteri troviamo ne La Pietra di Wolfram?

Come sempre nelle avventure di Martin Mystère, la finzione si intreccia con la realtà. L’indagine parte dal Santo Graal, che nelle storie su re Artù e la Tavola Rotonda (VI secolo d.C.) è identificato con la coppa dell’Ultima Cena. Ma intorno al 1200, nel suo poema Parzival, il cavaliere tedesco Wolfram von Eschenbach raccontò una versione diversa: a suo dire, il Graal era una pietra magica custodita dai Templari. Solo che i Templari non esistevano ai tempi di re Artù: erano i monaci-guerrieri cristiani delle Crociate, poi mandati al rogo dal papa con false accuse di eresia. Forse Wolfram voleva svelare qualche segreto tra le righe.

Il cavaliere Wolfram von Eschenbach in un codice del Medioevo

Come si arriva ai giorni nostri?

Attraverso vari personaggi storici. Nel 1937 il nazista Adolf Eichmann fece uno strano viaggio in Palestina, al ritorno dal quale cominciò la sua carriera all’ombra di Hitler, diventando uno dei massimi colpevoli dell’Olocausto. Dopo la guerra fuggì in Argentina, dove i gerarchi del Terzo Reich godevano della protezione di Juan Perón e di sua moglie, la celebre Evita. E intorno a lei si aprono altri misteri: forse Evita custodiva tesori scomparsi dalla Germania nazista. Quel che è certo è che dopo la morte nel 1953, a soli trentatré anni, la sua salma fu imbalsamata e non venne seppellita. Qui comincia la parte più misteriosa della vicenda, su cui ho indagato anch'io.

Ritratto ufficiale di Evita Perón

Cosa avvenne?

Nel 1955 Perón fu deposto e la salma di Evita venne sequestrata e nascosta dai servizi segreti argentini. Nel 1957 fu spedita via mare a Genova, in una cassa che pesava ben più del necessario: forse serviva a trasportare clandestinamente anche altro. Infine Evita venne sepolta sotto un nome falso, Maria Maggi, al Cimitero Maggiore di Milano. Ci rimase fino al 1971, quando fu riconsegnata a Juan Perón il quale, risposatosi, viveva in esilio a Madrid. Qui il suo consigliere José López Rega, detto Lo Stregone, cercò di trasferire lo spirito di Evita nel corpo della nuova moglie, Isabelita, mediante un rito magico. I Perón tornarono trionfalmente in Argentina e, alla morte del marito, Isabelita divenne presidente. Ma non restò a lungo al potere. La presunta magia non aveva funzionato.

La "Locarno" naufragata a Rapallo, 1961 (foto: Alessandro Cappi)

Una storia degna del detective dell’impossibile.

Ed è tutto vero! Come la clamorosa cattura di Eichmann da parte di agenti israeliani nel 1960 e lo spettacolare naufragio nel 1961 della nave "Locarno" che, partita da Genova, fu spinta da una tempesta sul lungomare della vicina Rapallo. Nel mio romanzo tutti questi eventi realmente accaduti ruotano intorno alla ricerca della Pietra di Wolfram, in cui viene coinvolto anche Martin Mystère. Il nostro eroe deve ricostruire la vicenda, per impedire che la Pietra cada in mani sbagliate.

Ascolta l'intervista ad A. C. Cappi di Walter De Stradis per "I viaggi di Gulliver"




lunedì 27 luglio 2020

L'uomo dalle due ombre (1970)




Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi

Quando si nomina Richard Matheson (1926-2013), i primi a mettersi sull’attenti sono probabilmente i lettori di fantascienza, che ricordano I vampiri, Tre millimetri al giorno e numerosi racconti, come quelli dell’antologia Regola per sopravvivere pubblicata molti anni fa da Mondadori nei Capolavori di Urania.
I cinefili forse ricollegano il nome alle versioni cinematografiche de I vampiri, quali L’ultimo uomo sulla Terra, 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra e l’ultima, dimenticabile, Io sono leggenda; oltre a Radiazioni BX: distruzione uomo da Tre millimetri al giorno, ma soprattutto a Duel, il mitico tv movie (poi proettato anche al cinema) che il giovane Steven Spielberg trasse proprio da un racconto di Matheson. I più attenti storici della tv americana possono aggiungere al catalogo anche gli script per serie tv come Ai confini della realtà e Star Trek.




Ma nel repertorio dello scrittore ci sono anche i noir, tra cui un significativo romanzo noir del 1959, imperniato su una doppia tematica: le colpe del passato che ritornano e l’uomo che dalla quotidianità viene sbalzato in una situazione estrema, ricorrente anche nella produzione fantastica di Matheson.
Si intitola Ride a Nightmare e racconta del signor Chris Martin, che vive un’esistenza normale in California con la moglie Helen e la figlia... fino a quando non riceve una telefonata con una minaccia di morte destinata a tale Chris Phillips. Anni prima l’uomo prese parte a una rapina, nel ruolo di autista della fuga, ma se ne andò a tutta velocità quando i complici uccisero i poliziotti sopraggiunti sul più bello. Ora gli ex-amici, abbandonati e catturati, sono evasi di prigione e tornano per fargliela pagare – letteralmente – prendendogli in ostaggio la famiglia.
Nel 1962 lo stesso Matheson adatta il romanzo a un episodio da quarantacinque minuti della serie Alfred Hitchcock presenta, diretto da Bernard Girard. Qui la famiglia Martin si riduce a marito e moglie, rispettivamente interpretati da Hugh O'Brien e Gena Rowlands.
Il telefilm Ride a Nightmare – intitolato in italiano Gli amici ritornano – condensa in modo efficace i concetti principali della vicenda: la paura che irrompe, improvvisa e immotivata, nella coppia; i conoscenti che si intromettono con le loro banali questioni mentre i protagonisti devono dissimulare la situazione... e un cadavere in cucina di cui liberarsi; il senso di colpa e la paura di rivolgersi alla polizia, con tutte le possibili conseguenze; soprattutto, una donna che scopre vicende che le sono state tenute nascoste – persino il vero nome dell'uomo che ama – e deve decidere se stare al suo fianco malgrado i suoi trascorsi criminali e le loro inaspettate implicazioni.
Nel 1960 il romanzo è uscito in Francia nella Série Noire di Gallimard come De la part des copains e in Italia da I Gialli Ponzoni come Cavalca l’incubo (poi riedito da Fanucci come Incubo nella raccolta Noir di Matheson; informazioni, come altre in questo articolo, ricavata online da Gli Archivi di Uruk del sempre prezioso Lucius Etruscus).

Forse per questo la storia è approdata sulle scrivanie giuste per una di quelle co-produzioni italo-francesi in uso all’epoca, che si realizza nel 1970 per mano dell’eclettico Terence Young, già regista di tre dei primi quattro film di James Bond. Mezzo secolo fa (e ricordo di averlo visto al cinema, ancorché in seconda visione).
La versione francese mantiene il titolo dell’edizione del romanzo (letteralmente: «Da parte degli amici»), quella italiana assume quello suggestivo de L’uomo dalle due ombre, quella in inglese un più banale Cold Sweat («Sudore freddo»). Tra gli sceneggiatori figura nientemeno che Albert Simonin, già autore del romanzo Grisbi (da cui il celebre film con Jean Gabin) e del copione di Colpo grosso al casinò (in cui Gabin era affiancato dal giovane Alain Delon), tratto da un libro dello scrittore americano John Trinian.
Qualche suggestione de L’uomo dalle due ombre deriva di certo dall’episodio televisivo hitchcockiano, di cui ritroviamo alcuni momenti, ma la storia viene trasferita dalle parti di Beaulieau-sur-Mer. Il protagonista stavolta è Charles Bronson, che dopo C’era una volta il West è spesso sulla scena europea: sono dello stesso anno il francese L’uomo venuto dalla pioggia e l’italiano Città violenta.

Con la scelta dell’interprete cambia, in modo radicale, l’atteggiamento del protagonista. Se in origine Chris era un onesto commerciante con una macchia criminale nel passato, qui diventa Joe, un autentico duro, ex-soldato americano, reduce dalla guerra di Corea e poi GI in Germania, finito in carcere per essersela presa con un superiore e trovatosi a evadere con i membri di una gang di ex-militari, con l’incarico di guidare l’auto della fuga; in questo caso a farne le spese è stato un poliziotto tedesco e Joe Moran è fuggito in macchina, lasciando i complici nei guai.
Ora l’uomo si fa chiamare Joe Martin, gestisce una barca a noleggio per turisti in Costa Azzurra e vive con la moglie Fabienne (Liv Ullmann) e la figlia undicenne di costei. Ma i suoi ex-amici hanno in ballo un affare in cui farebbe comodo la sua barca, prima di fargli pagare lo sgarro. E che ex-amici: James Mason, Michel Constantin, Luigi Pistilli e Jean Topart (nel ruolo del più pericoloso, imprevedibile e tenace di tutti), cui si è aggiunta la svaporata Moira (Jill Ireland, nella vita la moglie di Bronson, qui in una versione deliziosamente hippie).
Né Joe né Fabienne cedono alla paura e anche la protagonista femminile, pur non avendo trascorsi delinquenziali, rivela un’opportuna prontezza di riflessi. Quanto a Joe, dimostra il suo valore al volante in una sequenza automobilistica allestita dal maestro degli stunt europei anni Settanta, ovvero Remy Julienne.
L’incubo della storia originale lascia posto via via a un noir d’azione, in cui i piani di tutti – buoni e cattivi – falliscono, ma nel finale sono i buoni a prevalere, concordi nel mantenere il silenzio sull’accaduto. Ed è qui forse la differenza principale tra la versione tv americana e quella filmica europea, separate da meno di un decennio, ma anche simbolicamente dal Sessantotto e dal Vietnam (cui si fa qualche pungente allusione): non si sente alcun bisogno di espiazione, specie se i peccati sono di altri.

venerdì 24 luglio 2020

Leslie White, un detective dal vero


Recensione di Alby Bottecchia

Borderfiction Zone è lieta di dare il benvenuto a una nuova firma: Alby Bottecchia, che oggi ci propone una storia vera che sembra un romanzo.

Giovedì 20 Marzo 1931: Los Angeles è scossa dalla morte di Charlie "Gray Wolf" Crafword, potente uomo d'affari con oscuri legami al sottobosco malavitoso locale. La squadra investigativa della procura distrettuale guidata da Blaney Matthews ha già un possibile indiziato: David Harris Clark, eroe della prima guerra mondiale, brillante avvocato, nonché ex-procuratore distrettuale di L.A., che sembra essere misteriosamente scomparso e che le dichiarazioni di alcuni testimoni collocano sulla scena al momento del delitto.
L'incarico di ritrovare Clark spetta al brillante investigatore e aspirante scrittore pulp Leslie White: un giovane e arguto criminologo forense, dotato di uno spiccato talento investigativo e di un acuto senso di giustizia.
Il viaggio per ritrovare Clark porterà White a ripercorrere la propria carriera di detective, in particolare le occasioni in cui i due uomini hanno incrociato la loro strada con quella dell'ambiguo Crafword.
Dal crollo della diga di St. Francis nel 1928 al processo che distrusse la carriera e le speranze della star del muto Clara Bow, dal processo al gangster Albert Marco al brutale omicidio di Ned Doheny Jr., figlio di un anziano e stimato magnate petrolifero, le carriere di White e Clark si intrecciano indissolubilmente alla storia di L.A. A volte i due sono artefici e testimoni di eventi che cambieranno per sempre la storia della città.
In A Bright and Guilty Place, Richard Rayner racconta la carriera avventurosa e romanzesca di un detective eroico e brillante legandola alla storia di Los Angeles con un ritmo da romanzo pulp (le vicende sembrano uscite dalla penna di Raymond Chandler), senza rinunciare a un umorismo sagace e pungente... Seguite Leslie White nei vicoli oscuri di Los Angeles, non ve ne pentirete. Bang!





giovedì 23 luglio 2020

Focus - Niente è come sembra



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Se fosse stato girato da Alfred Hitchcock negli anni Cinquanta, i ruoli principali sarebbero stati affidati a Cary Grant (l'astuto ladro gentiluomo che potrebbe essere buono o cattivo, chissà...) e Grace Kelly (la giovane donna ambigua. seducente, ma non del tutto innocente). Invece è stato distribuito nel 2015, realizzato dagli sceneggiatori-registi Glen Ficarra e John Requa in una chiave più moderna: la suspense comedy si mescola con notazioni psicologiche e pennellate noir. Non sarà di una precisione hitchcockiana, ma il risultato è ugualmente da non sottovalutare, anche se il film era passato del tutto sotto il mio radar. Richiama alla mente 'Il professionista' di Bruce Geller (1973) con James Coburn e, sotto certi aspetti, i più recenti 'Now You See Me'.
Nicky (Will Smith) è un 'cannon', un genio dell'inganno, del borseggio acrobatico e della truffa, in grado di sfruttare a proprio vantaggio la psicologia di qualsiasi bersaglio, anche se ama troppo il rischio e le scommesse; Jess (Margot Robbie) è una ragazza con un talento criminale finora sprecato, che aspira a diventare abile quanto lui. I due si incontrano a New York quando lei, con un complice modesto, tenta invano di imbrogliare lui. Dopo aver capito di trovarsi di fronte a un maestro, Jess riesce a farsi reclutare da Nicky per una serie di colpi a New Orleans alla vigilia del SuperBowl... Passa gli esami a pieni voti, ma alla fine viene sganciata, perché nel loro ambiente i sentimenti sono di troppo.
Passano tre anni e i due si ritrovano a Buenos Aires, lui impegnato in una truffa su commissione nel mondo delle corse automobilistiche, lei in compagnia proprio del commitente. La passione si riaccende nel momento meno opportuno, ma scatta nel contempo anche l'ambiguità: uno dei due ha forse un'agenda segreta che tiene nascosto all'altro/altra? Nicky non racconta mai tutto dei propri piani fino a quando non sono realizzati, ma forse ora l'allieva sta superando il maestro.
Il finale, ricco di sorprese, non delude. Ma soprattutto è interessante vedere l'impiego della psicologia dell'inganno, lo studio della manipolazione e del diversivo, a cui si riferisce il focus del titolo: il punto focale dell'attenzione del bersaglio. A partire dal poster, in cui l'apparente abbraccio di Margot Robbie è una manovra per sfilare il portafogli di Will Smith. Coreografie delle scene di borseggio e consulenza scientifica sono di Apollo Robbins, esperto dell'arte del pickpocket teatrale e personaggio noto alla tv americana. Curioso anche l'uso – quantomeno nell'edizione originale – del gergo della mala specializzata in queste tecniche. In scena un bell'assortimento di caratteristi e in prima linea Will Smith in ottima forma e Margot Robbie agile ed elegante (anche se Hitchcock l'avrebbe trovata troppo esplicitamente sexy).
Nella colonna sonora, 'Sympathy for the Devil' dei Rolling Stones ha addirittura uno spazio nella trama, mentre nei titoli di coda si riconosce 'Windmill of Your Mind', il tema di entrambe le versioni di 'The Thomas Crown Affair' (ovvero 'Il caso Thomas Crown' e 'Gioco a due'), strizzando l'occhio a un caposaldo del cinema di amore e inganno.

mercoledì 15 luglio 2020

Iperwriters - Senza trascurare i santi

Photo: Ian Taylor on Unsplash Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori Letteratura italiacana - 44 - Senza trascurare i santi Venerdì, ...