giovedì 20 ottobre 2022

Iperwriters - Leggende in estinzione

Photo: Athanasios Papazacharias on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 8 - Leggende in estinzione

Venerdì, ore 13. Siamo sempre alla biblioteca comunale, a perdere la vita. Ma non inattivi: ci formiamo da soli, senza maestri e senza direzioni. Io leggo e scrivo, riempiendo a mano larghi quaderni. Max legge e traduce opere che oggi non sembrano esistere più.
Eravamo immersi in una Francia degli anni Cinquanta in cui la scrittura riscattava dalle sofferenze di una nascita infelice e perfino dalla povertà. Avevamo scoperto l'ultimo grande (e “maledetto”) genio francese: Jean Genet. In seguito sarebbe stato ristampato dal gruppo Saggiatore-Tropea-Pratiche nel periodo in cui con Marco Tropea iniziavo a pubblicare per le librerie: cosa che mi avrebbe resa euforica. Il Saggiatore aveva già pubblicato il saggio di Jean Paul Sartre dedicato a Genet: Saint Genet comedien et martyr.
Di Genet Max traduceva Notre Dame des Fleurs, allora non disponibile in italiano. Dovrei avere ancora i suoi quaderni pieni della sua grafia aerea ed elegante. Pubblicherei quella traduzione, se i diritti di Genet fossero liberi. Il romanzo faceva paura per la sua bellezza, e l'autore era una leggenda (ancora) vivente.
Prima della mattanza epocale, negli anni Settanta, almeno una compagnia teatrale alternativa su dieci metteva in scena Les Bonnes. Poi è arrivato lo spettacolo di Lindsay Kemp Flowers, ispirato da Nostre DameRicordo molto bene la scena in cui la protagonista Divine muore tisica, inondandosi di sangue e facendolo sgocciolare fino a terra. Che Flowers fosse una sacra rappresentazione non mi ha stupita affatto: così doveva essere.
Quello che mi ha lasciata sbalordita è stato vedere degli italiani venerare Divine e chinarsi fino a toccarle i piedi, come avrebbero fatto un secolo prima con una statua della Madonna. Bisogno del sacro?
Troppo bisogno. Occorreva svaporarlo al più presto possibile.
Non è un caso che gli scrittori francesi della generazione successiva a quella di Genet non lo abbiano mai ammirato, preso a modello, citato, copiato. Al contrario, dagli anni Ottanta e Novanta si sono moltiplicati attacchi e ridimensionamenti.
Ma tutto questo, direte, che c'entra con la letteratura italiana?
C'entra.




domenica 9 ottobre 2022

Everything, everywhere, all at once


Recensione di Andrea Carlo Cappi
 
Come dicono gli stessi sceneggiatori-registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert (alias "i Daniels"), ecco dieci film al prezzo di uno: fantascienza nel multiverso, commedia orientale bilingue, sfondo sociale asiatico-americano, meta-film con assortimento di parodie, riflessione filosofica, vicenda strappalacrime, azione, kung-fu, un tocco di Douglas Adams (il Woody Allen del fantastico, autore di Guida galattica per gli autostoppisti) e, se vogliamo, il remake alternativo di una pellicola degli anni Duemila di cui vi dico più avanti. Non tutte le componenti sono dosate alla perfezione, ma il risultato è singolare.
In primo luogo funziona il cast, in cui Michelle Yeoh – nel ruolo della protagonista Evelyn – assurge al ruolo di... diva assoluta. Bellissima sessantenne, l’attrice sino-malese resa celebre dal cinema di Hong Kong anni Ottanta (anche al fianco di Jackie Chan) e in seguito da 007-Il domani non muore mai e La tigre e il dragone, è apparsa di recente in un paio di film Marvel, in particolare in Shang-Chi, dove mostrava una volta di più la sua eleganza marziale. Versatilità in scena e agilità nell’azione ne fanno una figura senza pari nel cinema.
Ma – oltre a una sorprendente Jamie Lee Curtis, agente delle tasse magnificamente detestabile – reggono il confronto l’ultranovantenne caratterista James Hong (il severo padre di Evelyn), la trentenne Stephanie Hsu (la figlia adolescente Joy) e il cinquantenne Ke Huy Quan (il marito), che qualcuno ricorderà nei suoi ruoli giovanili in Indiana Jones e il tempio maledetto e I Goonies. Tutti devono interpretare, cosa per nulla facile, differenti incarnazioni dei propri personaggi nel multiverso.


Per chi avesse poca familiarità con l’argomento, l'ipotesi del multiverso implica l’esistenza di un numero esteso di realtà alternative, coesistenti con quella in cui viviamo ma non sempre simili. Il concetto risale più o meno ad Anassimandro di Mileto (VI secolo a.C.) ma è divenuto popolare nella fiction più o meno sessant’anni fa con i fumetti di Flash; la DC Comics ha poi adottato l’espediente per risolvere le incoerenze tra varie versioni dei propri personaggi e oggi, al pari della Marvel Comics, per far convivere i propri vari adattamenti sullo schermo: se qualcosa era diverso... era in un altro universo. Al cinema la Marvel ci ha giocato ultimamente con Spiderman e il Dottor Strange.
Ma la vera domanda è: qualcuno ricorda The One?
Diretto nel 2001 da James Wong (anche co-sceneggiatore al fianco di Glen Morgan, con cui ha firmato parecchi episodi di The X-Files), quel film vedeva come comprimari Carla Gugino, Delroy Lindo e Jason Statham, e come protagonista Jet Li. Il celebre interprete di arti marziali, all’epoca in prestito al cinema USA, raffigurava varie versioni dello stesso personaggio nel multiverso; tra costoro, da una parte un viaggiatore interdimensionale che intende eliminare tutti gli altri "sé" per assorbirne le energie diventando un superuomo (l’Unico del titolo); e dall'altra l’ultimo ignaro alter ego superstite, costretto a confrontarsi con il sé-avversario.


Qui le cose cambiano: in uno degli altri universi, Evelyn Quan è un genio della scienza che ha scoperto come collegarsi con i mondi paralleli, facoltà che ora qualcun altro usa in modo distruttivo. Nella nostra realtà, invece, Evelyn non è riuscita in niente e, come emigrata cinese negli USA, gestisce stressata la lavanderia aperta con il marito, senza rendersi conto che questi ormai vuole il divorzio; ma intanto lei deve aggiustare i rapporti con la figlia adolescente e cercare il plauso del padre in visita dalla patria, un uomo all’antica che non ha mai accettato le sue scelte; anzi, non ha mai accettato di avere una figlia femmina, quindi difficilmente potrebbe mandar giù una nipote non solo americana, ma anche tatuata e lesbica.
Mentre la nostra Evelyn affronta un serio problema fiscale da cui dipende la sopravvivenza della lavanderia, da un’altra realtà una diversa incarnazione del marito occupa temporaneamente il corpo di quest’ultimo e le spiega che l’intero multiverso sta per essere assorbito da un immenso buco nero a forma di bagel. Solo lei, quella che ha avuto meno successo nella vita fra tutte le sue versioni possibili, può salvare ogni dimensione. Alla nostra Evelyn non resta dunque che collegarsi con altre proprie incarnazioni e mutuarne le tecniche di sopravvivenza... cosa possibile solo attuando eventi a elevata improbabilità.
Da questo momento il film diventa assolutamente imprevedibile, cambiando registro di continuo e raggiungendo paradossi assoluti, momenti grotteschi, assurdità geniali. Per dirla tutta, il lieto fine, un po’ troppo dilatato e disneyano, non tiene ben conto dei disastri che intanto sono avvenuti nelle varie realtà alternative. Ma i buoni sentimenti prevalgono e tutto si risolve con un invito alla comprensione reciproca, che vuol essere il messaggio del film. Il risultato diverte e persino a tratti commuove, oltre a mostrare una grandissima prova di Michelle Yeoh, senza la quale nessuno degli universi narrati potrebbe reggere un solo istante.

Nota del 13 marzo 2023: il film ha ricevuto i seguenti premi Oscar: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura originale, miglior montaggio, migliore colonna sonora, miglior attrice protagonista (Michelle Yeoh), miglior attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis), miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan).

giovedì 6 ottobre 2022

Iperwriters - La sformazione

Photo: Tyler Casey on Unsplash


Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 7 - La sformazione

Venerdì, ore 13. Sono, con Max, alla biblioteca comunale a perdere tre anni di vita. Alla deriva, lasciandomi trasportare dalle onde, e sperando che mi conducano da qualche parte sulla terraferma.
Ma a questo punto, se continuate a seguirmi, vi chiederete qual è la mia formazione, fra tante influenze che tendevano a sformarmi. Che cosa ho letto? Me lo hanno domandato spesso. Soprattutto gli scrittori con pedigree, scandalizzati che una come me, invece di fare la donna delle pulizie, potesse lavorare (orrore!) al loro livello.
Ecco qua: Giovanni Verga letto a tredici anni. Non era nel programma scolastico; me lo ha messo nelle mani la mia insegnante: io non dovevo perdere tempo con letture sciocche.
Alessandro Manzoni. La sua scrittura è fisica: te lo fa vedere, Don Abbondio che percorre quella stradina che costeggia il lago. Una scrittura che ti mangia e si fa mangiare.
Con Manzoni ho sentito per la prima volta quello che si può fare con le parole. Dai tempi delle scuole medie ho sognato di riuscire un giorno a compiere qualcosa che potesse avvicinarsi a una simile magia.
Poi, alle superiori, Eugenio Montale (di cui ricordo ancora versi a memoria) e tanto, tanto Pirandello. Che non era nei programmi scolastici, ma che ho divorato tutto. Grazie a Pirandello ho passato l'esame di maturità spensieratamente e senza dolore. Godendo ancora di un po' di credito di stima che era arrivato ai membri della commissione, ho dovuto rispondere a una sola domanda (che non chiedeva risposta):
“Se per Pirandello siamo tante persone quanti sono gli occhi che ci guardano, in quanti siamo in questa stanza?”
Dopo? Dopo sono arrivati gli stranieri. Wilde, Bronte, Shelley, Poe, Melville. Un innamoramento pazzo per Arthur Rimbaud. Lettrice onnivora, passavo da uno stimolo ricevuto da una lettura ad altre letture. All'Università ho letto À rebours, di Huysmans, un libro di cui uno dei docenti non conosceva neppure l'esistenza (per questo mi avrà cacciata al suo esame, sicuramente).
Eravamo approdati, Max e io, alla Francia, la terra delle leggende letterarie.

mercoledì 5 ottobre 2022

Operazione Kazan: le radici del presente


Recensione di Andrea Carlo Cappi

È uscito da Salani un interessante romanzo del giornalista televisivo spagnolo Vicente Vallés – noto in particolare come commentatore delle elezioni negli USA – già autore di non-fiction su argomenti che qui sono trattati con pari competenza in chiave di narrativa spionistica e fantapolitica.
La vicenda si apre con l'acclamazione alle primarie del Partito Democratico statunitense della candidata Nathalie Brooks, dopo che l'anziano presidente in carica ha deciso di non ripresentarsi alle elezioni del 2024. Con il suo curriculum politico e il suo prestigio personale, la Brooks ha ottime probabilità di diventare la prima donna alla Casa Bianca.
Ma la sua probabilissima vittoria porterà a compimento un piano dei servizi segreti sovietici cominciato oltre un secolo prima e che ai tempi di Stalin fu denominato Operazione Kazan. Ora ne sono a conoscenza solo due ex-agenti del KGB, uno dei quali, però, è l'attuale presidente della Federazione Russa, che entro pochi mesi avrà modo di influenzare a suo piacimento la politica americana.
L'altro ex-agente è il veterano Kovalev, ormai in pensione. Ma durante la Guerra Fredda questi, insieme a due colleghi dello spionaggio americano e svizzero, aveva creato un gruppo segreto per lo scambio di informazioni, in modo da evitare equivoci tra le grandi potenze. Temendo le disastrose conseguenze dell'operazione, Kovalev rispolvera parole d'ordine vecchie di quarant'anni e riprende i contatti.
Tra incontri clandestini e doppi giochi, intanto, qualche indizio arriva anche a Madrid, dove operano due giovani agenti: Pablo Perkins, che funge da collegamento tra servizi segreti americani e spagnoli, e la sua referente nel CNI, Teresa Fuentes. Tocca a loro ricostruire un secolo di vicende segrete e, soprattutto, fermare l'Operazione Kazan. Sempre che sia possibile riuscirci.
L'autore si muove con agilità tra un luogo e l'altro, e tra passato e presente, raccontando tutto in modo accessibile anche a chi non abbia familiarità con la narrativa di spionaggio. Se per i personaggi storici utilizza i nomi veri, a quelli contemporanei ne attribuisce di fittizi, anche se dalla Casa Bianca al Cremlino sono ben riconoscibili le figure reali a cui alcuni si ispirano. Ho letto il romanzo per la casa editrice poco dopo la sua pubblicazione in Spagna e mi sono immediatamente proposto per tradurlo, data la sua vicinanza per temi e struttura narrativa a buona parte della mia produzione.


Vallés e il traduttore, Noir in Festival, 2022