venerdì 31 dicembre 2021

Iperwriters - Scuola di sopravvivenza

Photo: William William from Unsplash


Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13.
La nave Iperwriters, come promesso, vi porta le strategie per sopravvivere se siete delle biodiversità. 
Ne abbiamo individuate quattro possibili: 
guerriglia: ma anche guerra dichiarata. Combattere per affermare la propria forma di vita contro tutto quello che è nemico, all'esterno ma soprattutto all'interno. Il rischio è un livello di tensione che può diventare intollerabile.
Immaginazione: sprofondare nel sogno e crearsi una realtà parallela autoreferenziale. Non è, come sembra, un modo di sfuggire al mondo, perché il mondo ci guarda anche mentre dormiamo. Il rischio è la derealizzazione e una follia più o meno dolce.
illusionismo: stare nel mondo e ingannarlo con abili giochi di prestigio, e cercare di educarlo divertendolo. Il rischio è di ritrovarsi nudi e indifesi se il prestige non riesce.
mimetismo: fingersi come tutti gli altri, recitando costantemente fino a raggiungere una specie di simulazione spontanea. Il rischio, se non si rimane lucidi, è di non conoscersi più.
eremitaggio: se non si ha bisogno di lavorare per guadagnare è possibile rinchiudersi in un isolamento reale, in un ambiente fatto a propria misura come le case per bambini di Maria Montessori. Il rischio è l'azzeramento dei rapporti sociali. Emily Dickinson viveva chiusa in casa, sempre vestita di bianco come un fantasma. I ragazzini del posto credevano che fosse un vero spettro. 
Ma, obietterete, queste sono soluzioni a problemi di cent'anni fa, e oggi i drammi non sono tanto estremi da richiedere atti estremi. Tutte le biodiversità sono sostenibili. 
E' più complicato di così, e il mondo è un viso pallido dalla lingua biforcuta. Le biodiversità visibili sono in una continua altalena, premiate e vezzeggiate in alcuni casi, ancora disprezzate e perseguitate in altri. Dipende dai luoghi, dagli ambienti fisici e culturali, dalla casta di appartenenza. L'ipocrisia confonde le acque delle biodiversità visibili.
Immaginiamo ora quanto può essere torbido lo stagno delle biodiversità invisibili. 
Perché ne esistono, e al prossimo passaggio ve le sveleremo. 
Au revoir.

mercoledì 15 dicembre 2021

Diabolik - Il film - La recensione


Recensione (senza spoiler) di Andrea Carlo Cappi

"Sarò breve", per citare Luca Marinelli quando ha augurato un rapido "Buona visione" al pubblico dell'Odeon all'anteprima milanese del 15 dicembre, alla vigilia dell'uscita sugli schermi d'Italia. Ma non altrettanto breve. Quindi motiverò il mio giudizio, che posso riassumere in: "un gioiello di film!"
Questa è forse una visione di parte, dato che, pur non avendo avuto a che fare di persona con il film, ne ho scritto la novelization, ovvero il romanzo basato sulla sceneggiatura. Ma la mia è la recensione di un conoscitore e appassionato di Diabolik che ha cercato anche di immedesimarsi in uno spettatore - italiano o straniero che sia - che non conosca la serie a fumetti e i personaggi e sia al primo approccio con loro. Il che è uno dei due aspetti fondamentali quando si realizza un film di questo tipo. L'altro è: non deludere chi già conosce e ama personaggi e serie. Da entrambi i punti di vista, "Diabolik-Il film" riesce perfettamente nell'intento. A dire la verità, dopo averlo visto, molte delle recensioni che avevo letto online dopo l'anteprima romana mi sembrano scritte da qualcuno cui i Manetti Bros hanno rubato le caramelle quand'erano bambini e che dopo decenni si vuole vendicare.


Forse i recensori sono andati al cinema aspettandosi di vedere un altro film: o un "Diabolik" come quello di Mario Bava del 1968, prodotto da De Laurentiis, che aderiva al linguaggio pop-psichedelico sopra le righe che segnava i cinecomics dell'epoca (pensiamo a "Barbarella") con elementi camp e intrusioni un po' troppo comiche, anche se ne rimangono impresse le scenografie del rifugio e Marisa Mell, Eva per nulla somigliante ma bellissima. O forse un film di tutta azione alla "Fast and Furious" invece che un raffinato prodotto di gusto europeo, che fa pensare all'attuale cinema di genere francese e spagnolo, poco noto in Italia.
Per chi non sapesse nulla: Diabolik & Eva sono una coppia di criminali che vive e opera (principalmente) nell'immaginario stato di Clerville, una via di mezzo tra Italia e Francia in cui i nomi di battesimo sono italiani ma cognomi e toponomastica sono di variegate origini europee. Dà loro la caccia l'incorruttibile ispettore Ginko della Polizia di Clerville (nome anche della capitale dello stato). La serie creata da Angela e Luciana Giussani nel 1962 si distingueva per i protagonisti insolitamente efferati per i fumetti dell'epoca, anche perché lettrici e lettori di fatto finivano per identificarsi e parteggiare per loro.
Le storie dei loro colpi rientrano nel genere noir chiamato "caper" e un ulteriore elemento innovativo erano le connotazioni tecnologiche, come l'uso di un'auto britannica (una Jaguar E-Type del 1961) corredata di trucchi, come di lì a poco si sarebbe visto sull'Aston Martin del '64 nella versione su schermo di 007; e l'impiego di maschere che replicano alla perfezione i volti di altre persone, come quelle che pochi anni dopo sarebbero apparse nell'adattamento cinematografico di "Fantomas" e nella serie tv "Mission: Impossible". Tali elementi, omessi nel film del '68 perché al pubblico internazionale sarebbero parse copie, quando invece erano gli originali, sono presentissimi in quello del 2021. La trama del nuovo "Diabolik" trae spunto dall'albo n. 3 del 1963 in cui Diabolik incontrò Eva per la prima volta.
La scelta degli interpreti, di cui solo Miriam Leone come Eva Kant aderisce pienamente all'aspetto del personaggio disegnato, si rivela adattissima. Il Ginko di Valerio Mastandrea è una perfetta incarnazione dell'ispettore di polizia dei fumetti, in cui molto "non detto" emerge dall'interpretazione: per esempio il profondo senso del dovere che lo costringe ad accettare anche l'impiego della pena capitale, che evidentemente non lo trova d'accordo.
Di Luca Marinelli forse la pettinatura "alla Diabolik" non è del tutto convincente, anche perché il suo volto, anziché a Robert Taylor, qui fa pensare a una versione giovane di Bruno Cremer (attore francese che per primo interpretò magnificamente Duca Lamberti, l'eroe di Scerbanenco, ne "Il caso Venere Privata" e, molti anni dopo, il commissario Maigret di Simenon). Riuscita anche la connotazione di Elisabeth, la "prima fidanzata" di Diabolik, qui incarnata da Serena Rossi. Lodi speciali a Vanessa Scalera nel ruolo di Flora, segretaria del viceministro e a Claudia Gerini nella parte deliziosamente snob della signora Morel.
E, ancora a proposito di "non detto ma recitato", nei due protagonisti emerge un aspetto molto interessante: chi ha letto i fumetti conosce il passato di Diabolik e quello di Eva, nel film ancora ignoto per quanto riguarda lui e appena accennato nel caso di lei. Ebbene, i due personaggi lasciano trasparire aspetti psichiatricamente compatibili con le loro esperienze: il pubblico del film ancora non sa cosa sia capitato loro, ma ne vede le conseguenze nei loro sguardi, nella loro gestualità, nel loro comportamento. Una lettura di una profondità del tutto inaspettata. E questo, soprattutto in Eva, fa una certa impressione.
Un'altra conquista dell'interpretazione di Diabolik da parte di Marinelli - ma anche di tutti gli attori, bravissimi, che interpretano il criminale quando assume le sembianze di un altro personaggio - è che riesce a fare davvero paura. Non per niente il personaggio è soprannominato "il Re del Terrore".


Perfetta, tra costumi, scenografie, pettinature e automobili, la ricostruzione di Clerville, Bellair e Ghenf negli anni '60: città, italiane ma non del tutto, ricreate con grande cura e precisione. Pregevole il montaggio, con un uso impeccabile dello split screen tipico degli anni '60 e del caper (pensiamo a "Il caso Thomas Crown"). Notevole la colonna sonora, non solo i brani cantati da Manuel Agnelli ma - minuto per minuto - l'intero "score" di Pivio e Aldo De Scalzi. E aggiungo un apprezzamento per i gioielli realizzati da Bulgari.
Per chi conosce il mondo di Diabolik, un paio di inside jokes: il giudice è Mario Gomboli, direttore di Astorina (casa editrice fondata dalle sorelle Giussani, che tuttora pubblica Diabolik) e principale sceneggiatore della serie, oltre che co-autore del soggetto del film; mentre il disegnatore che - come si usava un tempo - ritrae dal vero i protagonisti del processo... è interpretato dal vero disegnatore Giuseppe Palumbo. Non si riesce a vedere in viso un altro personaggio a me ben noto: Daniele Magni (uno dei poliziotti della sequenza di apertura), grande esperto di cinema e, insieme a Manuel Cavenaghi, animatore del negozio specializzato "Bloodbuster" di Milano.
Si potrebbe notare qualche difetto, un paio di omissioni nella sceneggiatura, che passano del tutto inosservate allo spettatore e non inficiano la riuscita del film. Ma non ne parlo, per non dare pretesti a certi critici che, impegnati com'erano a stroncare interpreti e registi, ovviamente non sono riusciti a notarli. Ma sono dettagli spiegati nel mio romanzo. Anche a questo serve la novelization, che trovate, per portare acqua al mio mulino, nelle migliori librerie e nei bookshop online.


venerdì 10 dicembre 2021

Iperwriters - Le biodiversità visibili

Foto: Parsoa Khorsand from Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13.
La nave Iperwriters passa, carica di ogni sorta di biodiversità. 

Mi è capitato una volta di leggere un testo biografico su Thelonius Monk, il musicista jazz nero. Sembra che Monk abbia affermato, a un certo punto della sua vita, che il razzismo non lo riguardava. Era un'invenzione di altri, creata da altri per bisogni, interessi, scopi che non avevano niente a che fare con lui

Semplice, no? Ma è il tipo di semplicità a cui non si pensa mai, se non dopo che qualcuno l'ha pensata. Occorre mantenere il giusto tono sociale di complicazione perché non si sappia che le biodiversità non esistono, in quanto tutto quello che esiste da prima della rivoluzione industriale è naturale. 

Se siete oggetto di razzismo/sessismo/xenofobia/discriminazione di qualsiasi tipo, e vi siete sorpresi a pensare: Tutto questo non mi appartiene, che c'entro io? allora siete fortunati, perché possedete abbastanza cultura e amor proprio da non dare per scontato che il mondo abbia ragione su di voi. 

Mi chiedo perché le fiction mettano tanto volentieri in scena il dramma vissuto nella propria interiorità da personaggi discriminati, spesso assolutamente non consapevoli che il problema è nel contesto.
Certo, non è per niente facile esserne consapevoli. Se, come afferma Sartre, l'inferno sono gli altri, gli altri ci circondano globalmente. 

Non solo ci opprimono dall'alto, ma ci risucchiano dal basso, e ci spiano e controllano da ogni lato. Ci trasformano in quello che vedono in noi, nell'anima e nella carne. 

Occorre molta forza, quando il mondo è diverso rispetto alle leggi di natura, per ricordare che è il mondo a essere in gabbia, non noi

Occorre una spina dorsale robusta per non farsi spezzare, e una mente in grado di salire per avere una visione aerea del tutto e attribuire a ogni cosa la sua giusta dimensione in rapporto alle altre.

Ma, in ogni modo, anche consapevoli, che cosa possiamo fare se siamo diversi da chi si pone, o viene posto, come prioritaria (talvolta unica) forma di vita? Se non possiamo ignorare del tutto il mondo e dobbiamo interagire per esistere?
Al prossimo container le possibili strategie per sopravvivere.


mercoledì 1 dicembre 2021

2 dicembre 2021: la Milano Noir di Borderfiction


 
Il 2 dicembre 2021 alle ore 21.00, all'Admiral Hotel (v. Domodossola 16, Milano, ingresso libero) Borderfiction Eventi presenta una serata condotta da Andrea Carlo Cappi e Giancarlo Narciso, con la partecipazione di Elena Porcelli, autrice di Fragranza di reato-Città in giallo: Milano (volumi 1 e 2, Placebook Publishing), Francesco G. Lugli, Gian Luca Margheriti, Ferdinando Pastori, Sergio Rilletti, co-autori dell'antologia Menegang-Milano noir dagli anni '50 a oggi (a cura di A. C. Cappi, da un'idea di Albina Olivati e A. C. Cappi, Borderfiction Eventi).

Milano è stata una delle prime città del giallo italiano, non solo perché nel 1929 vi è nata la collana che ha dato il nome al genere, Il Giallo Mondadori, ma perché già nel 1935 De Angelis vi ambientò i romanzi del primo personaggio seriale del poliziesco nazionale, il commissario De Vincenzi. Quando ancora il mystery made in Italy non era di moda, Milano fu lo scenario dei romanzi con Duca Lamberti e di parecchi racconti di Giorgio Scerbanenco, così come delle indagini del Giulio Ambrosio di Renato Olivieri, autori che aprirono la strada alla Scuola dei Duri di Andrea G. Pinketts nel 1993. La città continua a essere un vivaio di scrittori tra il giallo e il noir, non tutti sotto adeguati riflettori mediatici. Fino a questa sera.

FRAGRANZA DI REATO (Città in giallo: Milano), volume 1 e volume 2
romanzo di Elena Porcelli
PlaceBook Publishing

Milano, primavera 2018: Rosa Mantovani, maresciallo dei Carabinieri, affronta il caso della scomparsa di una presentatrice televisiva. Non è l’unica sparizione misteriosa di personaggi in vista in città, tanto da far sospettare l’esistenza di un serial killer. Al fianco del maresciallo si schiera il noto giornalista Marco Darsi, specializzato in cronaca nera, ma non è detto che ci si possa fidare troppo di lui... Un giallo in due parti da una scrittrice-giornalista che condivide con il suo personaggio il fiuto per i delitti e per i profumi.

antologia a cura di Andrea Carlo Cappi
Borderfiction Edizioni

Otto decenni in nero in altrettante storie noir milanesi, nel solco della Scuola dei Duri di Andrea G. Pinketts: un colpo anni ‘50 ricostruito da Andrea Carlo Cappi; il celebre Duca Lamberti rievocato da Giancarlo Narciso (già vincitore del Premio Scerbanenco 2006); un delitto anni ‘70 immaginato dalla giornalista-giallista Albina Olivati (vincitrice del premio ‘Una vita per la cronaca’ 2021); il buio degli anni ‘80 secondo Stefano Di Marino; un ritorno al pulp anni ‘90 con Ferdinando Pastori; un killer anni 2000 da Francesco G. Lugli; una rapina a doppio taglio da Sergio Rilletti; fino ai giorni nostri con una resa dei conti raccontata da Gian Luca Margheriti.