venerdì 19 marzo 2021

Iperwriters - Genio e regolatezza

Photo by Fabius Leibrock on Unsplash

IperWriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13. Non ci sono pazzi, a bordo della nave Iperwriters. 
Abbiamo visto dunque che gli artisti potevano essere sani e felici, in altri tempi e culture, per nulla depressi e più che equilibrati: integrati nel sociale al livello più alto della scala gerarchica, quale che fosse.
Se erano pazzi, lo erano per casi e sventure personali, e non per adeguarsi all'equazione genio = sregolatezza. 
Con l'avvento della rivoluzione industriale la nuova casta mercantile al potere ha gradualmente smesso di pagare i suoi artisti. La borghesia ha deciso che la poesia era inutile. Da cui la mendicità, la follia, la trasgressione, le droghe, lo sprofondamento nelle regioni infernali: il maledettismo dell'artista, rivendicato poi romanticamente nella forma del titanismo. 
Di fatto, fino alla legge sul diritto d'autore (il riconoscimento "progressista" del diritto a essere pagati) molti artisti hanno sofferto la dannazione dell'esilio dal tessuto sociale. Pensiamo ai suicidati Van Gogh e Salgari, o a Bizet letteralmente morto di fame e di freddo (oggi sarebbe milionario).
Durante il secolo scorso il mondo si è rapidissimamente trasformato. Agli scrittori si sono sostituiti i manieristi delle avanguardie letterarie e/o dei generi. Ai poeti si sono sostituiti i cantanti e ai sacerdoti gli ultimi idoli rock. Gli artisti sono diventati consapevoli di vendere i sogni che il pubblico borghese non osava vivere: libertà, pansessualità, scioglimento da convenzioni e regole, spiritualità.
Oggi assistiamo a un'ulteriore evoluzione. Non è più questione di maledettismo perché siamo tutti maledetti, famosi per (come ha detto Andy Warhol?) cinque o dieci minuti ciascuno. Siamo tutti artisti, e siamo tutti qui, nel Web, nel televisore, sui social network, a girare centrifugati. Affogati come un gatto capitato a dormire in una lavatrice.
L'artista può essere normale, dal momento che è una cellula uguale a ogni altra del tessuto sociale. Essendo tutti noi creativi, la singola prestazione non vale più nulla. Ci viene chiesto di lavorare “per esprimerci”, nel tempo libero. Alcuni vengono istituzionalizzati e durano un po' di più, perché possiamo pensare che la nostra inesistenza sia una nostra colpa. 
Se avete capito tutto questo, salite sulla nave.





giovedì 11 marzo 2021

Premio Torre Crawford 2021

Torna il premio letterario di San Nicola Arcella, intitolato a Francis Marion Crawford. Lo scrittore americano che scelse l'Italia come patria di adozione è oggi ricordato soprattutto per il versante gotico della sua produzione, ma la sua opera non si limitava a un unico genere. Ecco perché, nella seconda edizione, il tema proposto ai concorrenti può essere interpretato sia in senso letterale, sia in senso metaforico. L'unica richiesta, per entrare nel novero degli autori scelti per l'antologia del 2021, è la qualità dei racconti e l'aderenza al concetto di quest'anno: "Innamorarsi di un fantasma".

Ospitato nel 2020 sulle pagine di Borderfiction Zone, ora il Premio Torre Crawford ha un suo sito ufficiale in cui è possibile trovare il testo completo del bando, da leggere beninteso con attenzione prima di partecipare.

Il Premio Torre Crawford in Borderfiction Zone

L'antologia dell'edizione 2020, edita da Oakmond Publishing

venerdì 5 marzo 2021

Iperwriters - DNA d'artista


Photo by Guillaume Bolduc on Unsplash

IperWriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Spiegare come, quando e perché è stato voluto il crollo del valore di mercato della cultura umanistica sarebbe un’impresa al di là delle mie forze e capacità. 
Ma c’è una domanda che continua a ossessionarmi: che cosa ci spinge ancora verso la scrittura, come se fosse carica di un carisma che ormai non corrisponde più di fatto a nulla di vissuto? In altre parole, perché ci piace essere scrittori, ci drappeggiamo nelle nostre identità di scrittori, come se fossimo ancora vati, santi, eroi e naviganti (delle terre immaginate)?
La ricerca storica mi ha fornito forse una spiegazione. Nelle epoche passate gli artisti sono stati onorati, protetti, premiati. 
Nell’antica Roma un professore di grammatica valeva una somma che attualmente gira solo nel calciomercato. E così via: più si va indietro nella storia, e più il lavoro intellettuale/artistico sembra essere stato quotato. Fino all’antico Egitto, in cui l'artista era il secondo del regno immediatamente dopo il re. 
I nostri antenati hanno sperimentato una condizione in cui alla felicità creativa potevano essere aggiunti ricchezza e beni materiali, posizione sociale, il rispetto e l’ammirazione del resto della comunità, e perfino una forma di venerazione.
Allora mi chiedo se non è possibile che tutto questo si sia trasmesso stabilmente nel DNA umano, e se non sia diventato una forza agente nella coscienza collettiva.
Una forza che ci spinge ancora a creare, fra disinteressata ricerca della bellezza e patetica velleità, fra candore e narcisismo, fra legittima lotta per l’amore e la gloria e odioso culto dell’ego autoreferenziale.
Altrimenti non si spiegherebbe come, in un simile tempo di decadenza che dopo averci polverizzati impasta continuamente la nostra polvere, ci sentiamo spinti in così tanti verso un mestiere sottopagato, non istituzionalizzato, non socializzabile, affidato al caso e alla fortuna, che non ha nessun avvenire e comporta troppi rischi, e infine rende invisibili.
E’ bello pensare che a Dante, ad Ariosto, a Leonardo, a Michelangelo sia stato dato di che vivere molto dignitosamente. Chi darebbe oggi ospitalità a un poeta, anche solo in un garage o in una cantina?
Se non trovate una cantina, ci sono sempre i nostri container.