sabato 26 maggio 2018

Le voci del thriller di Luceri e Tentori



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Uno scrittore identificato con il giallo e un altro associato al cinema dell'orrore sembrano a prima vista incompatibili, a chi non li conosce. Ma, a ben vedere Enrico Luceri e Antonio Tentori, autori de La voce del buio (Mondoscrittura, 164 pagine, 13 euro) hanno molto in comune.
Luceri è un apprezzato autore de Il Giallo Mondadori e ultimamente anche Damster Edizioni, di cui si è già parlato in queste pagine; chi ha letto con attenzione i suoi romanzi sa che, nel panorama del mystery italiano, si distingue per le sue atmosfere che richiamano la stagione degli sceneggiati tv anni Settanta, con enigmi che sfiorano l'impossibile ma hanno sempre una spiegazione razionale; e chi conosce la sua produzione sa chi si è occupato della storia del giallo italiano in tutte le sue tonalità.
Tentori è stato sceneggiatore per Lucio Fulci, Dario Argento e Sergio Stivaletti, tra gli altri, e basterebbe questo a qualificarlo; ma, oltre ai suoi numerosi racconti e al romanzo basato sulla sceneggiatura dell'argentiano Inferno, ha anche un notevole curriculum di saggista su molti generi del cinema italiano, senza disdegnare ruoli di attore come quello nel recente e sorprendente Catacomba, film a episodi diretto da Lorenzo Lepori e Roberto Albanese.



La loro collaborazione non poteva che dare ottimi frutti, specie per chi ha nostalgia di un filone soprattutto cinematografico ed essenzialmente italiano che ha tuttora molti appassionati, ma ormai nessun produttore nel nostro paese: quello che da noi si chiamò thrilling e che nel resto del mondo è noto invece come giallo, con un'accezione diversa da quella corrente in Italia di "detective story classica" e, per i suoi detrattori, di "letteratura di serie B". Non a caso chiunque scriva di un commissario che sia più o meno fotocopia di altri, se appena è possibile si autodefinisce "autore noir".
Ma ecco qui un giallo nel senso più tipicamente italiano nel termine, in cui anche un lettore comune può riconoscere i rimandi al cinema di Dario Argento (cui il romanzo è dedicato): la soggettiva dell'assassino che osserva le sue vittime dal buio, gli ambigui flashback che ricostruiscono l'evento scatenante della follia omicida... Non sono gli unici riferimenti a quella fortunata stagione del nostro cinema, ce ne sono anche di più sottili, piccoli indizi che strizzano l'occhio ai cultori del genere. Ma soprattutto si tratta di un romanzo scritto con ritmo incalzante, con una protagonista che sfugge agli stereotipi della profiler visti e rivisti in troppi prodotti americani della narrativa, del cinema e della televisione.
Perché, a ben vedere, molto prima che gli Stati Uniti scoprissero e spremessero all'infinito il filone dei thriller sulla figura del serial killer (o, come li chiamava erroneamente anni fa una nota casa editrice, i "serial thriller"), era stato il thrilling made in Italy a codificare - partendo da Robert Bloch e da Alfred Hitchcock per creare regole proprie - certe strutture narrative che poi sono state riprese negli USA per i filoni slasherpsychothriller (il termine corretto sarebbe quest'ultimo, lo sappiano gli editori italiani).

E allora il lettore si immerge negli incubi notturni dell'ispettore Anna Ranieri della Squadra Mobile di Roma, sintomo forse di elementi che le sfuggono a livello razionale ma che la mente ha registrato, e in un'indagine che la tocca da vicino. La sorella minore Giulia è in un sottile equilibrio tra la vita e la morte dopo un tentato suicidio, ma la poliziotta non è troppo convinta da quella che d'istinto ritiene sia la scena di un crimine. Forse è per sfuggire ai propri sensi di colpa che ritiene si tratti, invece, di un omicidio mancato.
Un sospetto che diviene certezza quando un maniaco omicida comincia a mietere vittime con sempre maggiore frequenza tra donne attraenti di varie età ed estrazione sociale. Sul luogo di ogni delitto - appartamenti privati, un giardino pubblico, una galleria d'arte, un teatro deserto - ricorre in modo fisico o simbolico il tema della rosa, come firma dell'assassino.

"Un indizio, un dettaglio, una crepa in un muro apparentemente solido e compatto, da allargare con le mani, ferendosi dita e polpastrelli fino a farli sanguinare. Finché quella fessura diventi un foro, sempre più largo, una crepa che provochi il crollo di un pezzo di intonaco e permetta di gettare uno sguardo oltre quel muro, che si rivela un sipario. Il palcoscenico montato dall'assassino per mettere in scena i propri delitti."
Anna Ranieri deve imparare ad ascoltare la voce del buio per riconoscere l'Ombra fra le tenebre e fermare una catena di morte che vede anche lei come prossimo, scomodo bersaglio da eliminare.

La voce del buio non è l'ennesimo romanzo clonato sulle storie di assassini seriali d'oltreoceano, bensì un thriller italiano che inchioda il lettore fino all'ultima pagina, cosa che non mi pare capiti più così spesso. E, d'accordo, due veterani del mestiere come Stefano Di Marino e il sottoscritto, chiamati a presentare il libro al mitico Bloodbuster di Milano, intuiscono in corso di lettura la rete di inganni e false piste tessuta dagli autori. Ma la scrittura per nulla banale, la suspense incessante e la logica ferrea della soluzione finale ci procurano di nuovo quel piacere che temevamo irripetibile del thrilling... altro vocabolo usato in modo approssimativo, dato che in inglese era solo un participio presente usato come aggettivo, non un sostantivo, anche se lo è divenuto honoris causa. Perché per qualcosa di così innovativo allora e vitale ancora oggi nelle pagine di Luceri e Tentori, mancava un nome e si doveva inventarlo.


Avengers: la Guerra dell'Infinito




Delucidazioni di Andrea Carlo Cappi

Dopo il riassunto della fase più recente del Marvel Cinematic Universe e prima di toccare argomenti potenzialmente spoiler, posso dire ciò che già si conosce dalla conferenza stampa dell’ottobre 2014 in cui i Marvel Studios presentarono i progetti a venire sull’universo basato sui fumetti di Stan Lee e soci. La vicenda delle Pietre dell’Infinito, con tutto ciò che esse comportano, non si conclude con questo film. La storia è stata preparata meticolosamente, aggiungendo un tassello dopo l’altro, episodio dopo episodio, a partire dal 2011 con Captain America – The First Avenger. La seconda parte, annunciata per il maggio 2019, si sarebbe dovuta intitolare Avengers- Infinity War II, mentre ora è etichettata semplicemente come Avengers 4. Circola la voce, attribuita all’attrice Zoe Saldana, che possa chiamarsi Infinity Gauntlet (ovvero Il guanto dell’Infinito, titolo della saga originale a fumetti del 1991). I film del ciclo in uscita prima del maggio 2019 – i prossimi annunciati sono Ant-Man and The Wasp e Captain Marvel – sono ambientati prima degli eventi di Infinity War. Altri tasselli che andranno a comporre lo scenario completo.


Sul piano pratico, più di ogni altro episodio dell’MCU, Infinity War richiede la visione preventiva di una buona parte dei capitoli precedenti con i vari personaggi. I film sono quasi tutti disponibili in vari supporti video e alcuni sono già passati sulle reti televisive. Non entrate quindi al cinema aspettandovi che venga ripresentato singolarmente ogni personaggio, tra protagonisti e comprimari di ogni serie: Infinity War dura due ore e trentasei minuti e sono in scena almeno una settantina tra supereroi, loro parenti, amici, alleati e nemici, quindi non c’è spazio per i riassunti; fate riferimento al mio articolo precedente e alla prima parte di questo, in cui vi ricordo alcuni punti da tenere presente a proposito delle Pietre dell’Infinito. Sarete avvisati quando cominciano gli spoiler.



Cosa sono, per cominciare, le Pietre dell’Infinito? Sono sei gemme forgiate al tempo del Big Bang, ognuna delle quali ha un potere immenso, pericoloso se dovesse cadere in mani sbagliate. Sono state custodite per millenni in luoghi sacri, ma da qualche tempo a questa parte sono riemerse, con conseguenze spesso devastanti. Perché le Pietre interessano a Thanos, re di Titano? Ovvio: sia per l’immenso potere che ha ciascuna di esse, sia per il potere moltiplicato che acquisiscono una volta riunite. Per questo Thanos dispone del Guanto dell’Infinito, che dovrebbe raccoglierle tutte e sei.
La Pietra dello Spazio, contenuta nel Tesseract (o Cubo Cosmico, per chi ricorda i fumetti di Capitan America degli anni Settanta) è stata recuperata in Norvegia durante la Seconda guerra mondiale da Johann Schmidt alias Teschio Rosso (Hugo Weaving); maneggiata da questi con troppo noncuranza nello scontro finale di Captain America – The First Avenger, la Pietra lo ha scagliato chissà dove nello spazio-tempo, prima di sprofondare nell’Atlantico. È stata recuperata dallo SHIELD (il servizio segreto dell’universo Marvel) e il suo capo Nick Fury (Samuel L. Jackson), alla fine di Thor l’ha affidata al professor Selvig (Stellan Skarsgård) perché la studiasse. Innescando così la catena di eventi imprevedibili pilotata da Loki (Tom Hiddleston) in accordo con Thanos (Damion Poitier), per favorire l’invasione aliena della Terra fermata nella Battaglia di New York in The Avengers. La Pietra è stata portata quindi ad Asgard e qui custodita fino al Ragnarok, quando è stata ritrovata da Loki poco prima della distruzione totale. Difficile che questi abbia resistito alla tentazione di appropriarsene di nuovo, portandola con sé nell’esodo degli asgardiani...
La Pietra della Mente si trovava nello scettro di Loki, che se n’è servito in The Avengers per controllare il professor Selvig e Clint ʻOcchio di Falco’ Barton. Caduta in mano all’Hydra (organizzazione creata a suo tempo dal Teschio Rosso), è stata usata per conferire poteri ai gemelli Pietro e Wanda Maximoff, che tuttavia sono passati dalla parte dei buoni. Studiata da Tony ʻIron Man’ Stark e Bruce ʻHulk’ Banner (Mark Ruffalo), ha accidentalmente dato vita al malefico Ultron (James Spader), per poi animare l’androide benevolo chiamato Visione (Paul Bettany). La Pietra si trova ora sulla fronte di Visione. Questi, entrato a far parte dei Vendicatori, ha una storia d’amore nascente con la collega Wanda ʻScarlet Witch’ Maximoff (Elizabeth Olsen), anche se in Civil War i due si sono trovati da parti opposte della barricata.


La Pietra della Realtà, che si manifesta anche sotto forma di Etere, è stata recuperata dopo che in Thor – The Dark World è stata usata nel tentativo di distruggere la Terra da parte di una delle razze ribelli tenute sotto controllo per millenni dagli asgardiani. Costoro, non fidandosi a conservare ad Asgard ben due Pietre dell’Infinito – Spazio e Realtà – hanno affidato quest’ultima al Collezionista (Benicio Del Toro), che la custodisce fra i suoi trofei nella propria dimora sul planetoide Knowhere. È lui a spiegare le origini delle Pietre e il loro potere ai Guardiani della Galassia.
La Pietra del Potere è rimasta a lungo indisturbata nel suo contentore, l'Orb, sul pianeta Morag. Fino a quando Thanos (ora interpretato da Josh Brolin) ha deciso di impadronirsi dell’intera collezione. Ha incaricato quindi di sottrarla il suo affiliato Ronan (Lee Pace), mettendogli a disposizione le proprie figlie adottive, le guerriere Nebula (Karen Gillan) e Gamora (Zoe Saldana). Ma Ronan intendeva appropriarsene per distruggere il pianeta Xandar, con cui aveva vari conti in sospeso; Gamora voleva invece venderla al Collezionista; mentre il primo a rubarla è stato Star Lord (Chris Pratt), anche se alla fine la Pietra finiva nelle mani di Ronan. È così che nacquero i Guardiani della Galassia, che riuscirono a evitare la distruzione di Xandar e affidarono la Pietra alle autorità locali perché la custodissero.
La Pietra del Tempo è stata ereditata e impiegata in modo brillante dal dottor Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) nel film a lui dedicato e si trova nel medaglione che questi porta al collo, denominato Occhio di Agamotto. Strange ha imparato a usarla con la consulenza più o meno volontaria del bibliotecario Wong (Benedict Wong), assistente dell’Antica (Tilda Swinton) di cui è divenuto l’erede come Signore delle Arti Mistiche.
Quanto alla Pietra dell’Anima, ancora non si sa dove si trovi, ma qualcuno potrebbe avere un indizio... E da qui in poi, vi avviso, cominciano gli spoiler!



Libero spoiler, da qui in avanti, anche se cercherò di moderarmi. Torniamo a quanto stavo per dire, ma mi sono trattenuto, all’inizio del mio articolo precedente. Le reazioni a Infinity War da parte del pubblico in sala sono di shock. L’ho visto alla prima proiezione pomeridiana in una città spagnola, tra ragazzi che indossavano magliette di Spiderman e Capitan America (io, per non essere da meno, portavo quella con il logo dello SHIELD). Ammutoliti e immobili, hanno seguito tutti i titoli di coda in attesa di un barlume di speranza. Che in effetti arriva nella sequenza dopo i titoli di coda, tenue e ancora non del tutto chiaro: il suo autentico significato verrà precisato dall’imminente Captain Marvel. Una ragazza, alzandosi infine per uscire, ha mormorato: «Sto ancora tremando».
Non siamo infatti di fronte a una situazione tipo L’impero colpisce ancora, in cui alla fine, sì, Han Solo era stato catturato, ma gli eroi si accingevano ad accorrere in suo aiuto, rassicurando gli spettatori per il seguito. Qui siamo di fronte a una situazione come quella in cui James Bond stringeva imbambolato il cadavere della moglie, mentre Blofeld se ne andava libero di conquistare il mondo. In questo caso, anche peggio, dal momento che l’obiettivo di Thanos è purificare l’universo eliminandone metà degli abitanti. Ciliegina sulla torta: il messaggio che alla fine di ogni film promette il ritorno imminente di uno degli eroi visti in scena si riduce stavolta a un lapidario Thanos will return. Perché alla fine la sconfitta è totale e rimane in piedi quasi solo lui.
Il conteggio delle vittime comincia fin da subito, quando a conferma dei nostri timori l’astronave che intercetta i profughi asgardiani risulta proprio essere quella di Thanos. Mentre Heimdall spedisce al volo Bruce Banner sulla Terra, Thor viene catapultato nello spazio e recuperato dai Guardiani della Galassia, che danno il loro tocco di umorismo in una situazione drammatica.
Ha inizio così una singolare combinazione di squadre di eroi che combattono sulla Terra, su Titano e su Knowhere per impedire a Thanos di completare la collezione. Ma non è facile, perché una pista conduce il malefico alla finora introvabile Pietra dell’Anima, custodita da una figura già nota (riconoscibile anche se ne è cambiato l’interprete). Si arriva così alla grande battaglia finale nel Wakanda, in cui il premio è la Pietra della Mente, che non può essere rimossa dalla fronte di Visione senza ucciderlo... a meno di realizzare per tempo una complessa operazione e distruggere la gemma prima che sia troppo tardi.
In fondo è vero: pur circondato da tutti gli eroi Marvel, è Thanos il vero protagonista del film, il personaggio che ha maggiore spazio per l’introspezione psicologica. Il suo obiettivo è così importante da convincerlo a fare qualsiasi sacrificio personale, che ovviamente costa la vita a qualcun altro.
Ed è una scelta coraggiosa quella della Marvel di realizzare un film monumentale che interrompe la storia nel momento della più completa e disperante débacle. Ma siamo solo a metà di Infinity War e non va dimenticato che le Pietre possono modificare Tempo, Spazio e Realtà tanto per il peggio quanto per il meglio.