venerdì 17 giugno 2022

Iperwriters - Biodiversità invisibili: gigli bianchi

Photo: Athanasios Papazacharias on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì. La nave Iperwriters passa, con due gatti e qualche bulbo da piantare dove è possibile.
Abbiamo parlato di piante e animali. Conosciamo i danni della deforestazione, e sappiamo che numerose specie animali sono estinte, o in via di estinzione.
L'altro giorno, al mercato del sabato, ho chiesto a un vivaista dei bulbi di giglio bianco, detto anche giglio di Sant'Antonio. Mi ha risposto che non ne ha, e neppure può procurarmene. Non li ordina perché non si vendono, e se non c'è richiesta un articolo sparisce dal mercato. Alla fine mi ha consigliato di cercarli online.
Online ci sono ancora, ma se nessuno li cliccasse più? Corriamo il richio di non vedere più gigli bianchi? Il cavolo ornamentale impazza in tutte le aiuole. Ma un giglio è un giglio, come una rosa è una rosa. Perché non vogliono il giglio bianco?
Non è per avarizia. Costa più dei tulipani, ma è anche più alto e più ricco di fiori, per cui Bill prezzo è giustificato.
Non è per la fatica di coltivarlo. Come tutte le bulbose, basta metterlo a terra e fa tutto da sé.
Un fatto di moda, di gusto? Il cavolo ornamentale ha fondato una nuova estetica in cui il meraviglioso giglio, aereo e slanciato, è diventato brutto?
Non sarà perché è simbolo di purezza? Evoca innocenza, verginità, un'anima immacolata? Che orrore quel troppo candore!
Bene, se è questo il problema ci sarebbero anche i gigli neri. Ancora più introvabili.
Perché, in fondo, l'idea del nero contiene l'idea del bianco.
Ma, chiederete, che c'entrano i gigli bianchi con la letteratura? Tutto c'entra con la letteratura. Anche i nati vecchi, gli eterni bambini, i santi, le intelligenze eccellenti, gli artisti di talento a cui è stato proibito vivere. E' di questi argomenti, delle creature in pericolo cioè, e dei loro drammi, che la letteratura dovrebbe occuparsi.
Inclusi gigli bianchi, tigri bianche, elefanti bianchi, e ogni altro essere che non faccia girare l'economia.
La letteratura italiana, invece, da svariati decenni si occupa di altro, causandoci doloroso stupore ogni volta che mettiamo piede in una libreria.
Nei prossimi container vedremo di che cosa si occupa.




mercoledì 15 giugno 2022

Diabolik ha fatto giardino


Notizie e fotografie da Andrea Carlo Cappi

Mercoledì 15 giugno 2022, poco dopo le undici del mattino, in piazza Grandi a Milano è stata scoperta la targa che dedica i giardini ad Angela e Luciana Giussani, ovvero le autrici ed editrici di "Diabolik". Della prima solo pochi giorni fa si è celebrato il centenario della nascita, mentre la loro serie a fumetti - giunta a 900 numeri, oltre a tutti gli speciali - compirà sessant'anni il prossimo novembre.


Oltre all'assessore alla Cultura e alla rappresentanza della Zona 4, sono intervenuti Claudia Sozzani, nipote delle Giussani (e, si è scoperto più tardi e fuori scena, anche loro personaggio in un albo della serie), e Mario Gomboli (nella foto sotto), fumettista che ha dedicato al "Re del Terrore" buona parte della sua carriera e che da oltre vent'anni dirige la casa editrice Astorina, che dal 1962 pubblica "Diabolik".


Non ho avuto il piacere di conoscere nessuna delle due sorelle, che ho "incontrato" solo attraverso documentari, interviste e ricordi di chi ha lavorato con loro, e naturalmente attraverso le storie e i personaggi spuntati dalla loro macchina da scrivere. Ma auspicavo che fosse loro dedicato qualcosa da parecchio tempo. In effetti a Milano esistono da tempo altri Giardini Giussani - che io mi ostino a chiamare con il nome storico, Parco Solari - dedicati però a don Giussani, che nulla ha a che vedere con le due fumettiste.


Come ha sottolineato in seguito la nipote, oggi suona strano sentire ripetere che si trattava di "due donne", come se fosse insolito riconoscere che due donne possano lanciarsi in un'impresa del genere come autrici e imprenditrici. Ma in Italia non fu molto facile per loro, sessant'anni fa, soprattutto perché i loro personaggi ebbero una carica innovativa e rivoluzionaria così forte da cambiare radicalmente non solo le regole del fumetto ma anche i gusti e gli interessi del pubblico.


All'evento hanno partecipato anche le attrici Monica Faggiani e Valentina Ferrari (nella foto sotto), che ai Giardini e nel proseguimento presso il vicino Wow-Museo del Fumetto in viale Campania 12 hanno recitato due brani del loro spettacolo "Le sorelle diabolike", ispirato in parte anche a "Le regine del terrore", il libro di Davide Barzi che racconta vite, opere e rinvii a giudizio delle Giussani e del loro personaggio, sototposto a processo come a suo tempo la "Madame Bovary" di Flaubert. "Le sorelle diabolike" è anche il titolo della mostra inaugurata per l'occasione al Wow.


Intanto, grazie alle due sorelle, il fumetto italiano e il noir milanese hanno conquistato un altro spazio nella memoria collettiva. Parafrasando il titolo di un romanzo del celebre scrittore milanese Andrea G. Pinketts, che proprio il giorno dopo, il 16 giugno viene celebrato al MystFest di Cattolica, stavolta Diabolik ha "fatto giardino".





domenica 12 giugno 2022

Diabolik: il mistero del numero 1

Diabolik & Eva a Milano (copyright Astorina Srl),
tavola di Giuseppe Palumbo per il "Corriere della Sera"

La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

In questi giorni nei media si torna a parlare di Diabolik e non solo perché il 2022 è l'anno in cui il personaggio dei fumetti di Angela e Luciana Giussani compie tra cinque mesi sessant'anni di pubblicazioni, ma perché continuano a susseguirsi notizie che lo riguardano.
Tre settimane fa i registi Marco e Antonio Manetti hanno completato  le riprese del secondo e terzo film della loro trilogia di Diabolik in Calabria, la loro terra d'origine. In edicola è appena arrivato il nuovo "Diabolik Magnum", che in 600 pagine a fumetti raccoglie alcune delle storie più importanti della serie. Venerdì scorso, il 10 giugno, ricorreva il centenario dalla nascita di Angela Giussani, la prima ideatrice del personaggio. E mercoledì prossimo, il 15 giugno, saranno intitolati alle sorelle Angela e Luciana i giardini pubblici di piazza Grandi a Milano, consacrandoli a due concittadine che, precorrendo i tempi, sono state imprenditrici editoriali e creatrici di un mito.
Oggi una copia originale del numero uno di "Diabolik", intitolato "Il re del terrore" e pubblicato all'inizio di novembre del 1962 vale diverse migliaia di euro ed esistono persino falsari specializzati che ne fabbricano imitazioni che spacciano (e vendono) per vere. Ma dietro il numero uno di "Diabolik" c'è un vero e proprio mistero, che ha persino ispirato un film.

Da "Il re del terrore" (tavola di Zarcone)

Nel 1962 la casa editrice Astorina, appena fondata da Angela Giussani, prepara il primo albo di Diabolik, che all'epoca potrebbe essere anche l'ultimo, perché nessuno ancora può prevedere il successo del personaggio. I disegni sono affidati a un disegnatore trentenne di nome Angelo Zarcone, che in redazione viene soprannominato "il Tedesco", perché si presenta con un bambino biondo avuto da una tedesca e perché sembra vestito come un turista germanico sulle spiagge romagnole. Zarcone viene pagato in anticipo, ma pare sia sempre in ritardo con le consegne e i suoi disegni sono piuttosto frettolosi.
Consegnate le ultime tavole del fumetto, Zarcone scompare nel nulla. Non si fa più vivo, non abita più alla pensione in cui era alloggiato. Nessuno sa dove sia finito. Al punto che, passati vent'anni, le sorelle Giussani si rivolgono al più famoso detective privato italiano, Tom Ponzi, sperando di ritrovarlo, senza esito. In tutti questi anni, malgrado si sia parlato sempre più spessp di lui, non si sono più avute notizie né da lui né da suoi parenti.
Negli anni Duemila lo studioso di fumetti Gianni Bono si rivolge al direttore artistico di Diabolik, che del numero uno aveva realizzato la bellissima e storica copertina, Brenno Fiumali, chiedendogli di disegnare un identikit del misterioso Zarcone: l'aspetto curioso è che, almeno nel ricordo di Fiumali, Zarcone assomiglia molto a Diabolik come appare nel numero uno, con le folte sopracciglia nere e gli occhi di ghiaccio che siamo abituati ad associare al volto del protagonista dei fumetti. Sembra quasi che Diabolik sia lui, sparito dopo "aver fatto il colpo".

L'attore Luciano Scarpa nel film "Diabolik sono io"

Nel 2018 la vicenda ha ispirato un film del regista Giancarlo Soldi, intitolato "Diabolik sono io", a metà fra un thriller e un documentario, uscito al cinema e ora disponibile in streaming e in dvd. Mentre vari personaggi reali - tra cui ci sono anch'io - ricostruiscono il mito di Diabolik, un uomo vittima di amnesia con lo stesso volto di Diabolik vaga per Milano cercando di ricostruire il proprio passato, tracciando ossessivamente su fogli e muri gli stessi occhi di ghiaccio e le stesse sopracciglia nere... Ma è solo una delle mille ipotesi che si possono fare sull'oscuro destino del disegnatore scomparso.
In ogni caso, le sorelle Giussani non erano soddisfatte della rea visiva numero uno e nel 1964 lo fecero rifare completamente, sulla stessa sceneggiatura, da Gino Marchesi, che nel frattempo era diventato uno dei disegnatori ufficiali della serie.
Nel 2022, in occasione del quarantennale, la sceneggiatura de "Il re del terrore" venne ampliata da Alfredo Castelli (l'autore di Martin Mystère e altri personaggi, che aveva cominciato a lavorare nei fumetti proprio con "Diabolik", insieme a Mario Gomboli che ora ne è il direttore) e disegnata da Giuseppe Palumbo. Da questa versione è stato tratto un "audiofumetto", adattato da Arturo Villone e interpretato da Luca Ward, che in quel periodo dava la voce a Diabolik nei serial di Radio RAI.
La Boutique del Mistero torna in diretta domenica 19 giugno alle 16.20 su Radio Number One, con il relativo dossier il giorno dopo su Borderfiction Zone.

domenica 5 giugno 2022

L'ultima notte di John Belushi

 

La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Giugno 2022: i Rolling Stones hanno dato inizio al loro tour del sessantennale, che presto li vedrà in scena a Milano con tre veterani della band: Mick Jagger, Keith Richards e Ron Wood, che non hanno avuto una vita equilibrata, specie per quanto riguarda l'uso di droghe. Fra i tanti rischi che hanno corso, Richards e Wood in particolare possono considerarsi fortunati per avere scampato, quarant'anni prima a Los Angeles il destino toccato al loro amico John Belushi, star dei Blues Brothers, morto all'apice della propria fama.

Il cinque marzo 1982, all'età di trentatré anni, Belushi viene trovato morto nel letto del bungalow numero tre del Chateau Marmont Hotel sul Sunset Boulevard. Non è chiaro se si tratti di cause naturali, overdose di eroina, suicidio o addirittura omicidio. Sul corpo non ci vedono segni di violenza o di iniezioni. Gli unici indizi nella stanza sono qualche traccia di marijuana e di cocaina, ma non di eroina.
Viene chiamato sulla scena l'ex coroner capo di Los Angeles, il medico legale di origine giapponese Thomas Noguchi, considerato da vent'anni il maggiore esperto di morti di celebrità a Hollywood, a partire da Marilyn Monroe: è il dottor Noguchi, facendo pressione centimetro per centimetro sulle braccia di Belushi, a trovare i segni invisibili di due iniezioni. Dal momento che non c'è una siringa nella stanza, qualcuno l'ha fatta sparire. E in albergo una donna è stata vista uscire dal bungalow...


Mentre la polizia sta ancora effettuando i rilievi, si presenta in albergo Cathy Smith, cantante canadese venticinquenne (nella foto), che ha appena sentito la notizia: è lei la donna che ha passato la notte con Belushi. Ha ancora con sé la siringa e il cucchiaino usati da lei e John e li consegna agli investigatori, dicendo che quando è uscita alle dieci e un quarto del mattino lui era ancora vivo.
L'autopsia chiarisce che la causa della morte è un'overdose di speedball, un cocktail di cocaina ed eroina. Che Belushi fosse un consumatore di alcool e cocaina è un fatto noto, ma la moglie Judith dichiara che non ha mai fatto uso di eroina e l'amico Dan Aykroyd, l'altra metà dei Blues Brothers, afferma che Belushi aveva paura degli aghi e non può essersi fatto l'iniezione da solo.
Nel frattempo Cathy Smith vende per ventimila dollari al giornale "National Enquirer" la sua versione dell'ultima notte di John Belushi: è stata lei a preparare lo speedball e a fargli la prima iniezione, ma ribadisce che era ancora vivo quando lei se n'è andata, quindi la dose fatale se la sarebbe iniettata lui da solo, più tardi.


La vera storia è più complessa. Di recente Belushi è ricaduto nella droga e si è rivolto a Keith Richards e Ron Wood dei Rolling Stones per prcurarsela. Loro lo mettono in contatto con la propria spacciatrice di fiducia a Los Angeles, la cantante Cathy Smith. Quella sera Belushi è all'On The Rox, un locale sul Sunset Boulevard, con Robert De Niro e Robin Williams, in attesa che arrivi la Smith con la sua merce. La serata prosegue poi tra alcool e sostanze nel bungalow dello Chateau Mormont Hotel. Alle tre e mezza Belushi e la Smith, ubriachi fradici, restano soli. Lui non si sente bene e lei si offre di farlo stare meglio, senza dirgli che cosa gli sta iniettando.
A scoprire la verità è il dottor Michael Baden, il maggior esperto di morti per droga del Paese, che con un lavoro degno di Sherlock Holmes sul corpo della vittima riesce a stabilire che Belushi non si è iniettato da solo neanche la seconda dose di speedball, quella fatale, che risale alle otto e trenta del mattino. Quindi è stata lei a somministrargliela ed è uscita dal bungalow mentre lui era in fin di vita per overdose.
La cantante Cathy Smith, che nel frattempo è scappata in Canada, viene condannata per omicidio colposo. Torna negli Stati uniti nel 1986 e sconta quindici mesi in carcere. Smette di spacciare, ma viene poi arrestata di nuovo in Canada per possesso di eroina. Muore nel 2020 per malattia, lasciando purtroppo come suo principale contribito alla storia della musica l'overdose fatale di John Belushi.


(Questa puntata de La Boutique del Mistero è andata in onda domenica 5 giugno 2022 su Radio Number One)

giovedì 2 giugno 2022

Iperwriters - Biodiversità invisibili: autismo

 

Photo: Venti Views on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13. La nave Iperwriters passa, carica di invisibili. Gli autistici (preveniamo la vostra obiezione), lo sappiamo, non sono invisibili.
Forse neppure discriminati, piuttosto aureolati da un'empatia generale. Perché, è ovvio, sono del tutto inoffensivi, non hanno il minimo peso sociale e la minima possibilità di intervenire nelle alte sfere del potere.
Gli autistici potrebbero essere i nati vecchi, gli eterni bambini, le intelligenze eccellenti, i santi, gli artisti di talento a cui è stato proibito vivere e che hanno scelto di (o non hanno avuto altra scelta che) rinchiudersi in un loro mondo su misura come un antico eremita nella sua cella, solo con Dio.
E pensiamo a volte che tutto il proliferare di storie, film, serie televisive, docufiction su autistici di genio non sia che un modo dell'attuale civiltà di risarcire tutti i nati vecchi, gli eterni bambini, le intelligenze eccellenti, i santi, gli artisti di talento a cui è stato proibito vivere. Un rigurgito di colpa? Forse. O forse no. E' difficile credere che il mondo contemporaneo abbia pietà.
L'esaltazione dell'autistico (anche gli schizofrenici vanno forte in tivù) deve restare sul piano dell'immaginario, del simbolico. Perché si pensi che ogni persona possa inserirsi veramente nel tessuto sociale. Ma avete mai visto un autistico di genio nella vita reale?
Io ho un sogno.
Diversi anni fa un uomo autistico è scomparso durante una gita nella capitale. Ne scompaiono moltissime, di persone. Ma di quest'uomo si continua a parlare, per qualche ragione. O forse lui è stato scelto fra i tanti anonimi, come il milite ignoto, perché potessimo domandarci: dove va, cosa fa, come vive, come riesce a mangiare un autistico solo e senza denaro?
Ma io sogno che sia sopravvissuto in qualche comunità di esseri come lui, e che un giorno torni, consapevole e forte come un capo, alla testa di un esercito suo, e riconquisti la terra che forse diecimila anni fa gli apparteneva.
E che, come un re, rifondi un regno di nati vecchi, eterni bambini, intelligenze eccellenti, santi e artisti di talento a cui è stato proibito vivere. Un nuovo mondo, o il ristabilirsi di un'antica giustizia.
E con il regno degli autistici finalmente dotati di parola e azione tornino anche gli alberi e gli animali estinti.

domenica 29 maggio 2022

Dracula: i film maledetti


La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Come abbiamo detto in una puntata precedente, il 2022 non è stato solo il centoventicinquesimo anniversario del romanzo Dracula dello scrittore irlandese Bram Stoker, celebrato lo scorso 26 maggio, ma anche il centenario del primo film che ne sia stato tratto: Nosferatu, diretto nel 1922 dal regista F. W. Murnau.
A dire il vero quello di Murnau non è il primo film a utilizzare il vampiro che Stoker aveva reso celebre nel 1897: già nel 1921 era apparso in una pellicola proiettata a Vienna e Budapest, con una trama diversa, concepita da una futura leggenda di Hollywood.
Quanto a Nosferatu, di cui per questioni legali non sarebbe dovuta sopravvivere nemmeno una copia e invece si è conservato fino ai giorni nostri, ha una vicenda misteriosa tutta sua anche fuori dal film: per esempio, si dice che l’attore protagonista fosse davvero un vampiro...


Andiamo con ordine: il primo film a citare Dracula è appunto del 1921, anche se da Stoker riprende solo il personaggio del vampiro. È una coproduzione austro-ungarica intitolata Drakula Halala ("La morte di Dracula"), ambientata in un manicomio: un paziente si crede Dracula, oppure è davvero Dracula che si finge pazzo? Rischia di farne le spese la figlia di un altro paziente, che pare destinata a diventare vittima e sposa del presunto vampiro,
Il regista è un oggi pressoché ignoto Karoly Lajthay, che in quegli anni lavorò anche con Bela Lugosi, attore che in seguito avrebbe avuto parecchio a che fare con Dracula: nel parleremo prossimamente. Anche il soggettista e co-sceneggiatore, un certo Mihaly Kertész, sarebbe rimasto sconosciuto, se poco dopo non fosse diventato famosissimo a Hollywood con lo pseudonimo di Michael Curtiz, regista tra l’altro di un grande cult-movie: Casablanca.
Drakula Halala è scomparso. Nessuno lo ha più visto dal 1926, non ne rimane più neanche una copia e le uniche informazioni che si posseggono derivano da un romanzo - una novelizarion ante litteram - che fu ricavato dalla sceneggiatura di Michael Curtiz. Sono stati fatti persino tentativi di remake, ricostruendo un'ipotetica sceneggiatura proprio a partire dal romanzo. La storia della sparizione di questo film ha ispirato Tutto quel buio, un thriller di Cristiana Astori che fa parte giustappunto della serie di romanzi che la scrittrice dedica ai film perduti dellla storia del cinema.

Ma anche il secondo film su Dracula, il primo tratto effettivamente dal romanzo di Stoker e presentato al pubblico un secolo fa, ha il suo bagaglio di maledizioni. Per cominciare, non potendo pagare i diritti cinematografici del libro, il regista Murnau lo adatta cambiando i nomi di tutti i personaggi e intitolando il film Nosferatu, "non-morto" in rumeno. La trama però è chiaramente basata sul romanzo e ciò non passa inosservato a Florence Stoker, la vedova dello scrittore, che fa causa al produttore e la vince. Pertanto viene decretato che tutte le copie del film dovranno essere distrutte. Per fortuna qualcuna si salva e sarà un bene per la storia del cinema. Forse sono state dstrutte al suo posto tutte le copie del film ungherese.
Ma il grande mistero è l’attore protagonista di Nosferatu, Max Shreck, il cui nome in tedesco significa "Massimo Spavento" e che nel film appare difatti con un aspetto terrificante. Si dice che fosse lo stesso regista, truccato in modo irriconoscibile. Si dice pure che Murnau abbia scritturato un vero nosferatu perché recitasse nel film, ipotesi che ha ispirato il film L’ombra del vampiro con John Malkovich.
In realtà all’epoca esisteva davvero un attore teatrale di nome Max Shreck e in una sua fotografia ufficiale lo si vede senza trucco e con un aspetto più umano... anche se non si sa molto di più sul suo conto né sulle sue abitudini alimentari. Tim Burton gli ha reso omaggio battezzando "Max Shreck" il cattivo interpretato da Christopher Walken nel film Batman-Il ritorno. Ma quella dell’attore-vampiro non è l’unica leggenda oscura a circolare intorno ai film di Dracula. Ce ne sono altre che racconteremo tra qualche settimana...


(Questa puntata de La Boutique del Mistero è andata in onda su radio Number One il 29 maggio 2022)

domenica 22 maggio 2022

Mata Hari, la spia innocente


La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Torniamo a parlare di agenti segreti, con la vicenda di Mata Hari, un personaggio storico del primo Novecento, considerato il prototipo della spia al femminile e ripreso più volte da cinema e televisione. Io stesso ho collaborato come sceneggiatore a un serial radiofonico RAI con Veronica Pivetti come protagonista.
Nella maggior parte delle interpretazioni, Mata Hari è una femme fatale, una pericolosa seduttrice e una spia nemica senza cuore. In realtà è una donna molto più avanti rispetto ai suoi tempi, che costruisce su di sé il personaggio di una misteriosa danzatrice indonesiana, trasformandosi nella prima grande diva della propria epoca, ma alla fine viene ingiustamente sfruttata come capro espiatorio a scopo politico.
Ciò che non tutti sanno è che Mata Hari, che in malese significa "Occhio dell'Aurora", è un nome d'arte. In realtà si chiama Margaretha Zelle ed è nata in Olanda nel 1876. Quando compie diciott'anni la famiglia non può più mantenerla e Margaretha accetta la proposta di matrimonio di un capitano dell’esercito coloniale olandese in Indonesia, Rudoph MacLeod, di origine scozzese. Quindi parte per l'Oriente, si sposa e ha due bambini. In realtà la vita matrimoniale è un inferno. Il marito insidia una cameriera, che si vendica avvelenando i figli della coppia, uno dei quali muore. Alla fine i Macleod divorziano, il marito si tiene la figlia superstite e Margaretha torna in Europa. E da qui comincia la metamorfosi in Mata Hari.

Mata Hari fotografata da Paul Boyer

Margaretha Zelle si ritrova a Parigi nel 1903. Senza un soldo, vive di espedienti. Si fa chiamare Lady MacLeod, fingendosi la vedova di un lord britannico, finché non si inventa una nuova identità: Mata Hari, principessa indonesiana esperta di danze orientali... che si inventa lei, come tutto il resto. Ma è così brava che diventa subito una diva internazionale, conosce i grandi artisti della Belle Epoque, frequenta principi e generali e si esibisce nei grandi teatri d'Europa. Tutto grazie a una magnifica finzione che affascina il pubblico.
Purtroppo, mentre si trova in Germania nel 1914, scoppia la Prima guerra mondiale e a Mata Hari vengono sequestrati bagagli e denaro. A questo punto accetta di lavorare per i servizi segreti tedeschi, riferendo dietro compenso le informazioni che scopre da nobili e militari che passano per il suo letto. In realtà non si impegna troppo: vuole solo farsi risarcire le perdite che ha subito per colpa della Germania.
Ma anche ai servizi segreti francesi non passa inosservato che Mata Hari potrebbe essere un'ottima spia. Così nel 1916 si fa reclutare dal capitano Ladoux di Parigi e viene mandata a Madrid, con l'incarico di sedurre un ufficiale prussiano per scoprirne i segreti. Ormai è diventata a tutti gli effetti un'agente segreta francese.

Mata Hari fotografata da Paul Boyer

Ma in quel periodo la guerra sta andando molto male per la Francia. Quando viene alla luce la passata e presuna collaborazione di Mata Hari con i servizi segreti tedeschi, il capitano Ladoux decide di servirsene in tutt'altro modo: nel 1917 la fa tornare a Parigi e la arresta, accusandola di essere una spia nemica e attribuendole la reponsabilità delle sconfitte francesi. La povera Mata Hari viene processata, condannata e mandata davanti al plotone di esecuzione. Per questo passa alla storia come la grande traditrice della Francia. Dai documenti emersi dagli archivi in oltre un secolo, sembra invece che sia stata solo la vittima innocente di un'operazione di propaganda.
Chi volesse approfondire la vicenda trova su YouTube  un mio documentario autoprodotto su Mata Hari. Chi invece vuole saperne di più sulla letteratura di spionaggio, in queste settimane tengo un videocorso di spy story sul sito e sulla pagina Facebook del Premio Torre Crawford.
E, a proposito, per chi si trova a Roma domenica 29 maggio tra le 12.00 e le 14.00, il Premio Torre Crawford organizza un brunch letterario, durante il quale lo scrittore Alfredo Martinelli e io ci sfideremo improvvisando racconti in diretta con la partecipazione del pubblico. L'appuntamento è domenica 29 maggio a mezzogiorno in punto al Foodoo, viale Medaglie d'Oro 342, Roma. Per La Boutique del Mistero ci ritroviamo invece in diretta sempre il 29 maggio alle 16.20 (in collegamento da Roma dopo lo spettacolo) su Radio Number One, con il relativo dossier il giorno dopo su Borderfiction Zone.







Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...